martedì 28 aprile 2020

C’è nella tristezza un contagio
amore mio, e da questo si vede
che abbiamo fatto comune cuore
e siamo uno che pare due.
Allora io
insemino la gioia
in questa cosa che non consiste
però esiste e tiene entrambi appesi.
La gioia ce la metto io.

Grândola Vila morena
Terra da fraternidade
O povo é quem mais ordena
Dentro de ti ó Cidade
Em cada esquina um amigo
Em cada rosto a igualdade
O povo é quem mais ordena
Dentro de ti ó Cidade
Dentro de ti ó Cidade, oh, oh, oh
Juro em ter a companheira
A sombra de uma azinheira
Que já não sabia a idade
Di strani pulviscoli stridono
le pareti, la nuca
intirizzita. Un perdersi occhiuto
per le pietre, le astute siepi di Cuma
– voci d’acqua, di buio, zampe
che frugano in botole d’azzurro -, un
beato non sapere chi
attizza il fuoco, spinge la ruota.
Fuggono gli anni, piste
incrociate, si addensano notizie, anche
le più improbabili, risaltano
ferite da archi e colombari, senza
nome balenano galassie. Nel vuoto
un muoversi, uno scuotersi allarmato.
Cumae: prato e naufragio..

Ce vo' tiempo ce vo' tiempo pe' fa' juorno
L'ora 'e notte ancora adda' suna'
Fore chiove pare gia' turnato vierno
I' nun dormo nun dormo e penz' a te
Sott' 'o sole quann'era ancora esta'
Sott' 'o sole quann'era ancora esta' a' a' a' a'
E lucente d'acque mare sott' 'o sole
Comme allora me pare 'e te vede'
Sott' 'o sole quann'era ancora esta'
Sott' 'o sole quann'era ancora esta' a' a' a' a'
Dimane a primma matina te vengo a sceta'
'O sole pure si chiove te vengo a purta'
Te vengo a purta'
Ce vo' tiempo ce vo' tiempo pe' fa' juorno
I' nun dormo nun dormo e penz' a te
Dimane a primma matina te vengo a sceta'
'O sole pure si chiove te vengo a purta'
Te vengo a purta'
Ce vo' tiempo ce vo' tiempo pe' fa' juorno
I' nun dormo e penz' a te

Mai c’è stata un’epoca in cui, come oggi, quello che si dice ha più importanza di quello che si fa. Basta che un reazionario dica di essere per la rivoluzione ed è un rivoluzionario. Che un mascalzone dica di essere per l’onestà ed è onesto.

domenica 19 aprile 2020


Se si legge per vivere tutto cambia. Non si tratta più di passare il tempo o di ingannare la noia, non si tratta di accrescere la propria cultura quantitativa e non si tratta di apprendere cose specialistiche: quando si legge per vivere, ciò che va in pezzi è la prigione in cui ognuno è chiuso, e quando la propria gabbia si è rotta, l’esperienza della libertà è così esaltante che cominciamo a vedere con dolore anche le gabbie altrui: e non ci basta essere liberi da soli in un mondo di prigionieri

giovedì 16 aprile 2020


mercoledì 15 aprile 2020

Caro Adriano
al telefono dici “va bene, sentiamoci..” e mi resta sempre il sentimento di averti disturbato. Che ci sentiamo un’altra volta, questa volta no! Non so se “ci sentiamo” sia uguale a “come stai?”, una espressione obbligata della forma, a cui bisogna sempre rispondere nello stesso modo.
Vorrei lamentarmi molto, ma non ho appigli e non so dove portare il mio lamento. Bisogna, mi pare di capire, essere asciutti come marinai o come donne che hanno già pianto. Bisogna sapere che quello che ci aspetta lo abbiamo già avuto e che adesso il naso prende perché il tempo incalza. E smonta i volti, ne riscrivere la trama. Io per esempio a volte ho l' impressione che il tempo cancelli gli zigomi come se questi fossero scritti con la matita, sicchè mi prende la nausea di avere quasi quarant' anni e una faccia da bambina pesta. Destinata a invecchiare in un solo giorno, dopo una decisiva tempesta ormonale (le facce un certo punto si rivestono del carattere dell' opinione che sia ha di se. Credo che lo status serva a questo; a difendersi dallo smascheramento del tempo).
A Vienna ho conosciuto il Dalai Lama. Rispondeva ai giornalisti con molta leggerezza mescolando le parole alle risate. Ha detto che milioni di cinesi crescono senza avere la nozione della spiritualità né del sentimento della religione. Lui può insegnare loro la nonviolenza e questa è l' unica possibilità vera per la Cina e per gli altri che il bene vinca sul male. Quest' ultima cosa la dico io: per i tibetani non c'è bene e non c'è male.
C'è solo il divenire la trasformazione e la completa partecipazione all' attimo che segue l' attimo.
questo vuol dire essere centrati in se stessi, godere dell' universo, essere un vuoto dove passa ogni cosa.
Dove non c'è paura. E’ una condizione che conosciamo anche noi sebbene non la perseguiamo come permanente nella sua trasformazione. A me accade di provarla quando faccio una cosa qualunque, lavare i piatti o giocare con la bella Mimina, e sono tutta in quella cosa.
Allora, prima che la mente mi mostri me stessa, nell' atto compiuto (quando arriva la mente è già tutto accaduto) io provo un grande benessere e una assoluta mancanza di fatica.
Naturalmente mi accade di essere vuoto anche quando scrivo. Allora è come se la scrittura fosse automatica, come se io non ci fossi. C'è un grande silenzio e le parole vengono da sole. Sono belle perfette: il punto più vicino alla verità che mi è concesso di conoscere. La creazione accade nel vuoto. E questa è la preghiera. Così quando mi sono mescolata alla folla dei fedeli del Dalai Lama e l' ho raggiunto, mi è presa una specie di paralisi e non riuscivo a risolvermi a fare più nulla.
Sono stata spinta verso di lui e mi sono aggrappata alla mano che tendeva. Ho sentito una esplosione di calore al centro del petto e un dolore acre alla gola, come quando si corre molto e viene la fatica del respiro. Sono rimasta alcuni secondi incapace di tirare il fiato, con il sentimento che avrei potuto svenire.
Poi ho aperto i polmoni ed ero felice come quando da piccola tornavo da una processione (ho sempre pensato che le processioni fossero un appuntamento mio personale con i santi la Madonna il Sacro Cuore di Gesù). Quando sono tornata in albergo cercavo su me stessa il segno lasciato dall' energia dell'incontro. C'era, ma tu mi prenderesti in giro.
Ho pensato che fosse giusto apparire sui giornali nascosti interamente da lettere Save Tibet come tibetani che dimostravano all' interno della Conferenza dei Governi.
Una buona azione viene sempre premiata. Era d'accordo anche Calvino: il premio del bene è il bene compiuto. Queste riflessioni non mi hanno impedito di massacrare una ragazza tedesca che stava con noi. Come dice Sergio, sono una razzista dell'intelligenza. Secondo me sono una ragazza della via Pal.
Allora “ci sentiamo”…

Mariateresa
estate '94

domenica 12 aprile 2020

sarà che c'è un buco nella pancia, uno nuovo
e vuole spazio si dilata si spande esplode fino in gola e mozza il fiato e poi ti soffoca
allora c'è solo una cosa da pensare
io sono vivo
e funziona
il buco è sempre lì, ma adesso respiri

Bisogna dedicarsi pian piano
precisamente
a briciole per uccelli sul davanzale nord
Piegati su di sé lavare il pavimento
come il corpo di un Dio bambino
Guardare i piatti sgocciolare
come una luna che spazza via l'ovvio tra gli alberi
Perdere intenti e rimedi
contro il restare
Soffermarsi cauti
su ogni vuoto di voce
e affetto di silenzio
Lavorare come minatori
al capezzale delle parole
aspettare disperati
In cambio del fiore di gelsomino

dolce compagno
resisti ancora
dammi la mano
io sono qui
'A nuttata è passata
e stanno ancora durmenne chille là 'ncoppa,
vulesse sapè comme fanno cu stu calore..
si jamme annanze accussì scoppierà n'epidemia
nu brutto culera, che saccio?
'a peste d'e surice, 'na malaria spagnola, 'a freva gialla,
e allora forse hanno ragione loro, chille là 'ncoppa
è meglio ca se dorme, quando se dorme, nun se sente niente..

'a morte ccà è sulo festa a mare
nu rinfresco
un giro pirotecnico
cchiù terribile 'e n'invasione
più inoffensivo dello squittio di un topo
aret'a Dragonara, pe Miseno
pe dint'e bbuche astritte da villa 'e Vespasiano,
felicità è nu muorzo 'a nu dito 'e nu cristiano
- mmocca.
Tutto è parola muta
nu film visto all'aria d'o Castiello
ca nuttata ferma
azzeccata 'ncopp'a pelle comme a nu francobollo.

E ca io so stato ccà l'avranno immaginato
sbirciato a cocche parte
rimediato nello zero di una storia mai vissuta -
nun esistono passagge mmiez'a ll'ombre
ne varchi tra le acque,
se ci sono solo acque.
Niente.
aggio pruvato a muzzecà 'a passione
senza me fa vedè
standomene nascosto
chello che lascio è l’IMPOSSIBILE
scheggie, crastule, piccoli frammenti
e’ carte mie c’abbruciano, cenere.

Vengono da me, ogni tanto, ricordi del forte sentore
di hashish
e m’addormono.
i tempi felici verranno presto

lì dove c'è il pericolo cresce anche ciò che salva

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.

Non è facile essere un uomo libero: scappare dalla peste, organizzare incontri, aumentare la potenza di agire, influenzarsi di gioia, moltiplicare gli effetti che esprimono il massimo di affermazione. Fare del corpo una potenza che non si riduce all'organismo, fare del pensiero una potenza che non si riduce alla coscienza.

è tutto così semplice,
sì, era così semplice,
è tale l’evidenza
che quasi non ci credo.
A questo serve il corpo:
mi tocchi o non mi tocchi,
mi abbracci o mi allontani.
Il resto è per i pazzi.
Stasera ci vedremo. Ci diremo
parole che potrebbero portarci
per sempre lontani da noi. Ma anche è possibile
che dopo il sonno e dopo molti sonni
si venga a una notte chiarissima, a un’altra
giornata da intraprendere.
E ora mi chiedo
dov’è la forza che prego per noi.
Se tra i miei occhi alla radice della fronte
o sotto lo sterno dove il sussulto si ostina
o nella vetta dell’albero che spia la pioggia
o in te che patisci sulle piccole spalle
il peso del dio senza conoscerlo.

Di sollievo in sollievo tutte
le carte sparse per terra o sul tavolo, lisce per credere
che il futuro m'aspetta.
Che m'aspetti il futuro! Che m'aspetti che m'aspetti il futuro
biblico nella sua grandezza, una sorte contorta non l'ho trovata
facendo il giro delle macellerie.
Hai bisogno di te
hai bisogno di questo tempo in cui non si cucina e non si prega
Si sta
Soli improvvisati
abbandonati e senza senso
si sta, frastornati
e vuoti. Si sta
e l'indomabile fiducia
accucciata fuori dalla porta
come un cane folle
di devozione
dorme sonni che contengono alba

se te ne vai
domani portami con te
[ma po' addo jamme]
Ricorro a te di nuovo
dopo averti spergiurato.

Succede così soltanto
con i più stretti parenti anziani,
con le sostanze della nostra dipendenza.
Mi succede con te.

Mi consola chissà perché pensare
che non sei arte ma appena
il documento della mia incapacità
di non fare storie,
il mio magone
ogni volta che l'emozione è attuale
e che per sorseggiarla
senza scottature
sono forzato a farne novella,
tiritera della memoria.

quando arrivo da fuori, appena tocco questa mia zona natale, comincio senza accorgermene a parlare in dialetto. Nessuno crederà che una volta ebbi la voglia repentina di mangiare del pane del mio paese, così partii sui due piedi da Milano, e quella notte mi addormentai col letto pieno di briciole.
Dice che è una questione di linguaggi».
«Linguaggi?».
Lei fece lo sguardo affilato che le conoscevo bene.
«Non linguaggi per scrivere romanzi» disse e mi turbò il tono svalutativo con cui pronunciò la parola romanzi, mi turbò la risatina che seguì. «Sono linguaggi di programmazione. La sera, dopo che il bambino s’è addormentato, Enzo si mette a studiare».
Aveva il labbro inferiore secco, spaccato dal freddo, il viso sciupato dalla fatica. Eppure con quale fierezza aveva pronunciato: si mette a studiare. Capii che, malgrado la terza persona singolare, non s’era appassionato solo Enzo a quella roba.
«E tu che fai?».
«Gli tengo compagnia: lui è stanco e da solo gli viene da dormire. Insieme invece diventa bello, uno dice una cosa, uno ne dice un’altra. Lo sai cos’è un diagramma a blocchi?».
Scossi la testa. Gli occhi allora le diventarono piccolissimi, mi lasciò il braccio, cominciò a parlare per tirarmi dentro a quella sua nuova passione. Nel cortile, tra l’odore del falò e quello greve dei grassi animali, della carne, dei nervi, questa Lila incappottata ma anche chiusa in un grembiule blu, le mani tagliate, arruffata, pallidissima, senza ombra di trucco, riprese vita ed energia. Parlò di riduzione d’ogni cosa all'alternativa verofalso, citò l’algebra booleana e tante altre cose di cui non sapevo nulla. Eppure le sue parole, al solito, riuscirono a suggestionarmi. Mentre parlava, vidi la casa poverissima di notte, il bambino che dormiva nell'altra stanza; vidi Enzo seduto sul letto, fiaccato dalla fatica ai locomotori di chissà quale fabbrica; vidi lei stessa, dopo la giornata alle vasche di cottura o allo spolpatoio o alle celle a meno venti gradi, che sedeva con lui sulle coperte.
Li vidi entrambi nella luce formidabile del sacrificio del sonno, ne sentii le voci: facevano esercizi coi diagrammi a blocchi, si allenavano a ripulire il mondo dal superfluo, schematizzavano le azioni d’ogni giorno secondo due soli valori di verità: zero e uno.
Parole oscure nella stanza miserabile, sussurrate per non svegliare Rinuccio.
Capii che ero arrivata fin là piena di superbia e mi resi conto che – in buona fede certo, con affetto – avevo fatto tutto quel viaggio soprattutto per mostrarle ciò che lei aveva perso e ciò che io avevo vinto. Ma lei se ne era accorta fin dal momento in cui le ero comparsa davanti e ora, rischiando attriti coi compagni di lavoro e multe, stava reagendo spiegandomi di fatto che non avevo vinto niente, che al mondo non c’era alcunché da vincere, che la sua vita era piena di avventure diverse e scriteriate proprio quanto la mia, e che il tempo semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed era bello solo vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell’una echeggiare dentro il suono folle del cervello dell’altra.