venerdì 30 dicembre 2016

un vuoto dove passa ogni cosa



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Natale 1993
Ruppemi l’alto sonno nella testa
Un lieve suono udì e mi riscossi
Lasciando il torpore del caldo letto
L’occhio riposato intorno mossi
Dritto levato e fisso mi guardai
Per capir la cagion del mio risveglio
Vero è che in su la branda mi trovai
Nella stanza dal sole illuminata
Dormito tanto avea dovuto
Che la mente un po mi dolea
Come s’io fossi nato in quel momento
Poi che alzato mi fui ripensai un poco a dove stavo
E che un altro anno era passato
La mia mente viaggiava per i giorni
Che vissuti avea con tutti voi
Agli errori fatti alle prese decisioni
Ai dispiaceri e gioie che ho passato in sedici anni
Che è quanto ho vissuto
Aperta poi che ebbi la porta della mia stanza
Vi ritrovai nella casa sparsi
Già tutti svegli ed operosi
Dai muri della casa uscì un calore
E le vostre parole potei udire
Fermo in su la porta io restai
A respirar quell’aria in festa
Che sapea di pace e di dolcezza
auguri
carlo

rifermarmi

E dopo questo, cos'è mai il perdono?
Sì, la storia ci dà troppo tardi
ciò in cui più non crediamo
o se crediamo ancora
soltanto nel ricordo
come passioni riconsiderate...
...Ciò che è pensato può
essere dispensato...
Penso che né paura né coraggio
ci salvino,
i vizi innaturali hanno per padre
il nostro
stesso
eroismo.
Le virtù... Le virtù ci sono imposte
dai nostri osceni crimini...
Perch'io non spero più di ritornare
perch'io non spero
perch'io non spero più di ritornare
perchè dovrei rimpiangere
l'abusata potenza del mio regno?
E prego di poter dimenticare
queste cose che troppo
discuto con me stesso e troppo spiego
poiché non spero più di ritornare...

'a casa mì


stazione di Campiglia Marittima/febbraio duemilatredici /elezioni politiche /aspettando un intercity /ritardi/centoventi minuti/ parliamo tra ragazzi/ si fuma sul binario /ci riconosciamo /siamo tutti del sud/ torniamo/ il voto è una scusa/ parliamo di politica/ tu che voti/ io che voto/ tu ci credi/ io ci penso/ tu ci speri/ io ci spero/ tutti/ tutti ne parliamo/ il movimento a cinque stelle/ forse ci assomiglia/ qualcosa/ qualcosa di nuovo puo accadere/ ci speri/ siamo sempre di più a parlarne/ ci raccontiamo la vita/ ci raccontiamo più che ad un amico/ il treno/ finalmente/ non ci importa dei posti/ troviamo una carrozza vuota/ sediamoci tutti vicini/ continuiamo a parlare/ insieme fino a napoli/ aspettiamo le elezioni /qualcosa puo cambiare/ per noi/ per te/ tu ci credi/ io ci penso/ scendi pure tu a napoli/ scendiamo tutti a napoli /ci rivedremo forse/ 590 /571 /592 /5431 se fai un cambio /come ci si innamora/ trecento chilometri di distanza/ come faccio/ tu come fai /il lavoro /il lavoro/ i parenti vivono fuori /sono finito sotto /pure tu /occhi conosciuti /somigli a mio fratello/ pure lui genova napoli/ andata e ritorno/ un intercity /sempre in ritardo /vuoi un sorso di birra/ pensieri sui blocchetti/ passano le ore/ tu ci speri /io ci penso /fumiamo tra i vagoni.
Stazione di Campiglia Marittima /quattro anni dopo /un messaggio da mio fratello/ hanno deciso il nuovo governo/ il potere senza maschera /vecchio potere/ potere vecchio /come chi sceglie di appassire/ oggi /aspettando un treno/ ancora in ritardo/ ci guardiamo/ non si parla di politica/ non ti fidi più di nessuno /non ci credi/ io ci penso/ non ci credo/ parliamo un po/ somigli a mio fratello/ ora aspetta un figlio/ il lavoro /forse mi rinnovano il lavoro/ come ti trovi fuori/ questo vento taglia la faccia/ il treno/ finalmente/ cambiamo posto/ facciamoci compagnia/ tu dove scendi/ parliamo ancora/ piove/ come è bella Capalbio/ prendi sempre lo stesso treno/ non ci siamo mai visti/ ci riconosciamo/ vuoi un po di pane/ forse c'eri anche quattro anni fa/ il giorno delle elezioni/tu ci speravi/ io non sapevo che pensare /tornando dall'ultimo saluto a mio nonno /sette ore di treni/ coincidenze in ritardo/ per correre da lui/ l'ultima barba/ la famiglia/ di nuovo tutti insieme/ perché non sempre/ ora c'è un po di sole/ ma chi è questo nuovo presidente/ il lavoro/ forse mi rinnovano il lavoro/dormiamo qualche minuto/ ci vorrà ancora un po/ non ci aiuterà nessuno/ ci pensi/ ci penso /somigli a mio fratello/ chiudi gli occhi/ ci vorrà ancora un po/ come è bella gaeta

no one's ever really ready

Scenn'a quota,
saglie 'o vuoto 
tuorn e nun saje si truove 'o bbuono 
mentre vuol', l'ansia nguollo
finalmente tuocc'o suolo

from my chilhood a man fell

e quanti frat' cu'e frat' scumpars'
'e vetr' rutt' e 'o sanghe spars' fann' brutt' ppe nuje
ma no ppe chi se spart' 'e part' e tutt'a vita fuje
pensanno a comm', cercanno arint' nun truov' l'omm

domenica 18 dicembre 2016

nomentano fuori le mura


















e non sono mai mai stato così lucido come adesso
adesso che non posso fare altro
che camminare passo dopo passo senza vie di mezzo
ad alta voce
con un sorriso dentro
e ora vado
per non tornare nel villaggio a mani vuote

sabato 3 dicembre 2016

storia del nuovo cognome

Arrivò il 12 marzo, una giornata mite, già primaverile. Lila volle che andassi presto nella sua vecchia casa, che l’aiutassi a lavarsi, a pettinarsi, a vestirsi. Mandò via la madre, restammo sole. Si sedette sul bordo del letto in mutande e reggiseno. Accanto aveva l’abito da sposa, che pareva il corpo di una morta; davanti, sul pavimento a esagoni, c’era la conca di rame ricolma d’acqua fumante.
«Qualsiasi cosa succeda, tu continua a studiare». «Altri due anni: poi prendo la licenza e ho finito». «No, non finire mai: te li do io i soldi, devi studiare sempre». Feci un risolino nervoso, poi dissi: «Grazie, ma a un certo punto le scuole finiscono». «Non per te: tu sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutti, maschi e femmine». Si alzò, si tolse mutande e reggiseno, disse: «Dài, aiutami, che sennò faccio tardi». Non l’avevo mai vista nuda, mi vergognai. Oggi posso dire che fu la vergogna di poggiare con piacere lo sguardo sul suo corpo, di essere la testimone coinvolta della sua bellezza di sedicenne poche ore prima che Stefano la toccasse. La lavai con gesti lenti e accurati, prima lasciandola accoccolata nel recipiente, poi chiedendole di alzarsi in piedi, e ho ancora nelle orecchie il rumore dell’acqua che sgocciola, e m’è rimasta l’impressione che il rame della conca fosse di una consistenza non diversa da quella della carne di Lila, che era liscia, soda, calma. Ebbi sentimenti e pensieri confusi: abbracciarla, piangere con lei, baciarla, tirarle i capelli, ridere, fingere competenze sessuali e istruirla con voce dotta, distanziarla con le parole proprio nel momento di massima vicinanza. Ma alla fine rimase solo il pensiero ostile che la stavo mondando dai capelli alle piante dei piedi, di buon mattino, solo perché Stefano la sporcasse nel corso della notte. 
L’aiutai ad asciugarsi, a vestirsi, a indossare l’abito da sposa che io – io, pensai con un misto di fierezza e sofferenza – avevo scelto per lei. La stoffa diventò viva, sul suo candore corse il calore di Lila, il rosso della bocca, gli occhi scurissimi e duri. Alla fine si infilò le scarpe da lei stessa disegnate. «Sono brutte» disse. «Non è vero». Rise in modo nervoso. «Ma sì, guarda: i sogni della testa sono finiti sotto i piedi». Si girò con un’espressione improvvisa di spavento: «Cosa mi sta per succedere, Lenù?»