giovedì 21 giugno 2012

[Eduardo notturno]

..io, per esempio, non mi sogno mai niente. ‘A sera mi corico stanco che Iddio lo sa… Ragazzo, sì. Quando ero ragazzo mi facevo un sacco di sogni… Ma sogni belli… Certi sogni che mi facevano svegliare cosi contento, che mi veniva la voglia di uscire, di lavorare. Certe volte mi facevo dei sogni talmente belli che mi parevano spettacoli di operetta di teatro… e quando mi svegliavo, facevo tutto il possibile di addormentarmi un’altra volta per vedere se era possibile di sognarmi il seguito. Ma allora la vita era un’altra cosa. Era, diciamo, tutto più facile; e la gente era pura, genuina. Uno si sentiva la coscienza a posto perché anche se un amico ti dava un consiglio, tu l’accettavi con piacere. Non c’era, come fosse, la malafede. Mo’ si sono imbrogliate le lingue. Ecco che la notte ti fai la fetenzia dei sogni..

Teoria dei giochi e cooperazione fra studenti

Intervista a John Nash
di P.Odifreddi

Un libro di Sylvia Nasar (Rizzoli, 1999) e un film di Ron Howard, entrambi intitolati A beautiful mind e di grande successo, hanno raccontato la strana storia di John Nash, il genio che ha legato il suo nome a unaserie di risultati ottenuti nel giro di una decina d'anni e pubblicati in una decina di articoli, recentemente raccolti da Harold Kuhn e Sylvia Nasar in The essential John Nash (Princeton, 2002), un paio dei quali gli sono valsi il premio Nobel per l'economia nel 1994. E' una tragica ironia del destino che un uomo che ha vissuto venticinque anni da squilibrato, soffrendo di schizofrenia paranoide e credendosi l'Imperatore dell'Antartide e il Messia, sia passato alla storia per aver introdotto la nozione di equilibrio oggi universalmente usata nella teoria dei giochi: di un comportamento, cioè, che non può essere migliorato con azioni unilaterali, nel senso che lo si sarebbe tenuto anche avendo saputo in anticipo il comportamento dell'avversario. Grazie agli uffici del comune amico Kuhn abbiamo potuto passare il pomeriggio del 13 ottobre 2003 con questa "mente meravigliosa", parlando a ruota libera di matematica e pazzia e ripercorrendo alcune tappe della sua singolare vicenda scientifica e umana.

La sua autobiografia per la Fondazione Nobel incomincia con una strana frase: "la mia esistenza come individuo legalmente riconosciuto è iniziata il 13 giugno 1928".
Non ricordo perchè ho detto così allora: quando scrivo cerco di essere spontaneo e senza costrizioni, e le cose escono diverse a seconda delle volte. Ma il concetto di inizio varia: ad esempio, in Cina si misura dal momento del concepimento. In Occidente invece una persona non esiste legalmente fino a che non è nata. In certi ambienti c'è un analogo problema



relativo al momento in cui il nascituro acquista un'anima. Le cose sono cambiate nel tempo, e oggi i cattolici la pensano come la gente comune di qualche secolo fa. In fondo, tutto si riduce a una competizione di numeri.
Lei è religioso? Ho cambiato varie volte idea, quand'ero mentalmente disturbato. Si rischia di uscire di testa pensando troppo alla religione, soprattutto se si fa della scienza e si cerca di tenere fede e ragione in compartimenti separati. Un'osservazione elementare, però, è che le varie religioni sono logicamente incompatibili fra loro: non possono dunque essere tutte vere.   La stessa cosa vale per la politica, di cui lei ha scritto che è un inutile spreco di energia intellettuale. Mi riferivo soltanto alla mia esperienza personale, influenzata dalla malattia mentale: ho cominciato a guarire quando ho rifiutato alcune delle mie illusioni in questo campo. La politica non è certo uno spreco di energie per i politici di professione!   A proposito di pensiero logico, la nozione di equilibrio che porta il suo nome sembra derivare più da un'analisi filosofica che da una problematica matematica. In effetti l'interesse non era semplicemente matematico, anche se bisogna osservare che Cournot aveva già sviluppato un concetto simile. Però c'era una parte strettamente matematica, riguardante l'esistenza di questi equilibri, e questa è un'altra storia. Ad esempio, gli equilibri nel senso di Von Neumann e Morgenstern non sempre esistono: quindi, il problema non era banale.   Sembra che von Neumann non abbia apprezzato il suo lavoro, all'epoca. Dopo aver sviluppato la mia teoria sono andato a esporgli le mie idee, e lui mi ha subito chiesto se la mia dimostrazione usava il teorema del punto fisso. Mi è sembrata una tremenda intuizione, da parte sua, in accordo con la sua fama di essere una mente brillante. Ma in seguito ho capito come aveva fatto a indovinare: io avevo usato il teorema del punto fisso di Kakutani, che era stato ispirato dal lavoro di von Neumann negli anni '30, e quel genere di risultati è difficile da provare in altri modi.   E' lo stesso metodo usato anche da Arrow e Debreu per la loro teoria degli equilibri dei mercati. Credo che loro abbiano invece avuto l'idea di usare il teorema del punto fisso di Kakutani da me. Ma non sarei disposto a testimoniarlo in tribunale, o di fronte all'Ufficio Brevetti: meglio non fare discussioni inutili.   Oltre a von Neumann, lei ha anche conosciuto Einstein qui a Princeton. Quando sono andato da lui un suo assistente, John Kemeny, gli stette sempre vicino e in silenzio, come una guardia del corpo. Probabilmente Einstein incontrava un sacco di matti, e aveva bisogno di un minimo di protezione.   E di cosa era andato a parlargli? Lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali delle galassie lontane di solito si interpreta come un effetto dell'espansione dell'universo. A me era venuta l'idea che si potesse invece interpretare come una perdita di energia gravitazionale della luce, più o meno come una barca che si muove nell'acqua perde energia producendo onde.   E Einstein come la prese? La cosa non gli piacque troppo, e mi disse: "Giovanotto, credo che le farebbe bene studiare un pò di più''. Non so se la mia fosse una buona idea, ma certamente in seguito anche altri l'hanno avuta e ci hanno scritto su.   Dopo la laurea lei ha lavorato per la Rand Corporation, che era un covo di reazionari. Sì, per tre estati. Era sponsorizzata dall'Aviazione, e costituiva uno dei modi indiretti attraverso il quale il governo finanziava la ricerca: invece di dare i soldi direttamente agli scienziati, li dava ai militari che poi li davano agli scienziati.   Non è un pò sospetto che la ricerca venga fatta coi finanziamenti militari? Non è solo sospetto, ma anche paradossale. L'Aviazione però non era così conservatrice, lo era molto di più la Marina. E poi, i militari sono automaticamente conservatori? In Italia, ad esempio?   Non lo sono per definizione? Il conservativismo è multidimensionale, e si può essere conservatori in un senso senza esserlo in un altro. Ad esempio, l'esercito turco è di destra, ma non rappresenta il fondamentalista islamico.   Tornando al suo lavoro, quando lei si spostò da Princeton al Mit lasciò la teoria dei giochi per la geometria differenziale. Parlando con un collega rimasi sorpreso del fatto che il problema dell'immersione delle superfici negli spazi euclidei fosse un'area di ignoranza, e pensai che avrebbe dovuto essere possibile risolverlo. Dapprima trovai una scorciatoia, in un caso che non era mai stato studiato: invece di considerare superfici liscie, con un certo numero di derivate, mi limitai alle superfici con un'unica derivata continua, e risolsi quel problema. Poi riuscii a estendere il risultato a superfici con tre ordini di derivabilità. Si dovrebbe riuscire a farlo anche con due, ma finora non è stato fatto.   I suoi interessi matematici sembrano essere stati molto estesi, e anche un pò incompatibili, nel senso che l'intuizione logica e quella geometrica sono molto diverse. Come è riuscito a conciliarli? In fondo io sono un analista. Il problema dell'immersione era sostanzialmente analitico, e in seguito mi sono interessato di equazioni differenziali alle derivate parziali.   Trovando il grande teorema che lei e De Giorgi avete dimostrato indipendentemente. Sì, lui è stato il mio rivale. A proposito, ecco un bell'esempio di un matematico religioso! Anzi, un esempio estremo di religiosità, quasi da monaco.   E il fatto che anche lui avesse ottenuto lo stesso risultato le costò la medaglia Fields. Non solo a me, anche a lui.   Ma lei sembra esserci stato più vicino, nel 1958. Ci fu addirittura uno spareggio con Thom, no? Mah, così si dice. Nel 1962 sarebbe stato più ovvio, ma io ero già disturbato mentalmente. Così la diedero a Hormander: uno svedese, in un congresso in Svezia ...   Vuole dire che la cosa è sospetta? Beh, sì. Sarebbe lo stesso se ci fosse un congresso in Cina, e la medaglia la vincesse un cinese. Non è successo, è successo che non è successo, ma sarebbe stato sospetto. Invece in Svezia è successo: tra l'altro, con due sole medaglie, invece delle quattro che si danno oggi.   Così lei ha perso la medaglia Fields, ma ha vinto il premio Nobel. Avrebbe preferito il contrario, se avesse potuto scegliere? La medaglia Fields sarebbe stata molto prima, avrebbe cambiato il corso della mia vita. Se fossi stato sano nel 1962, avrei potuto prenderla: ero ancora nei limiti d'età. Ma il mio lavoro non fu immediatamente riconosciuto: nemmeno le cose più facilmente comprensibili, come il problema dell'immersione. In seguito si cominciarono ad applicare i miei metodi in altri campi, ad esempio la stabilità del sistema solare con il teorema di Kolmogorov, Arnold e Moser. Anche se quasi subito Arrow e Debreu avevano visto come applicare il teorema del punto fisso di Kakutani nel loro lavoro sugli equilibri dei mercati.   E' vero che a quel tempo ha cercato di risolvere l'Ipotesi di Riemann? Questo lo dice il film. La funzione Zeta è certamente affascinante, ma io non ho mai seriamente attaccato il problema, nemmeno quand'ero malato. La teoria quantistica, quella sì. Ma probabilmente era un'illusione, una mancanza di buon senso, anche quando non ero legalmente matto.   Siamo tornati alla legalità. Dovrebbe essere chiaro che la malattia mentale è un concetto legale.   Ad esempio, uno dice che fa miracoli, e invece di matto lo chiamano santo! Più che dirlo, bisogna riuscire a farlo dire a qualcun altro: non "io faccio miracoli", ma "lui fa miracoli". Meglio poi se a dirlo è un cardinale o un vescovo, con voce ispirata.   O, per fare un altro esempio, uno come Monitz inventa la lobotomia, e invece di finire in galera prende il premio Nobel per la medicina. La lobotomia era veramente un'operazione drastica, ma la cosa è sottile. Si può confrontarla con il trattamento farmaceutico, e vedere con che metodo una persona diventa socialmente più controllabile. E' difficile, non si sa in anticipo come un paziente reagirà alle medicine e che effetto avranno su di lui. Ma si sa che riducono l'impulso suicida, che è uno dei pericoli maggiori, oltre che una causa di internamento.   Lo scopo quindi è il controllo. E' l'economia, nel senso che si tratta di minimizzare il costo per la società e per le famiglie dei malati. Una pazzia che non dà problemi, che non influenza il comportamento esteriore, è come una religione che non interferisce con il tuo lavoro: in tal caso a nessuno importa a che setta appartieni. Ma se un malato mentale ha tendenze suicide, questo è sufficiente a determinare l'internamento coatto. Anche se oggi gli avvocati riescono a renderlo più difficile, il che allo stesso tempo fa risparmiare soldi allo stato.   Negli anni '70 in Italia il movimento antipsichiatrico è riuscito a far chiudere i manicomi. Tutti?   Sì, tutti. Saranno però rimasti i reparti psichiatrici degli ospedali normali.   Molti malati mentali sono stati effettivamente dimessi. Negli Stati Uniti la medicina psichiatrica è diventata un'industria: molta gente viene internata anche se non è veramente pericolosa, e non dovrebbe essere possibile senza il consenso del paziente.   Anche le prigioni sono diventate un'industria: il numero dei carcerati negli Stati Uniti è imbarazzante: quindici volte superiore alla media europea. Però se si tolgono le persone che appartengono a certe categorie etniche, come i neri o i latini, la percentuale dei carcerati bianchi è probabilmente la stessa che in Europa.   Lei ha sempre cercato di opporsi legalmente ai suoi internamenti. La prima volta sono riuscito a farmi dimettere. Le altre volte ho tentato, ma senza grandi risultati. Credo che l'effetto sia stato duplice: può aver impedito certi eccessi di cure, ma aver prolungato la durata della deten- zione.   Lei ha detto esplicitamente di aver subìto torture. Si possono interpretare i coma insulinici e gli elettroshock come torture. Ma avvennero appunto in un periodo in cui non avevo un avvocato.   Ha anche detto che guarire da una malattia mentale non dà la stessa gioia che guarire da una malattia fisica, perchè la razionalità del pensiero impone un limite al concetto che una persona può avere della sua relazione col cosmo. Vede, io mi vedevo come un grande profeta o un messia ...   Come Zarathustra? Ho fatto quell'esempio solo perchè non ci sono troppi suoi seguaci in giro. Citare Maometto poteva essere rischioso, nel 1994 c'era il rischio di una fatwa.   Non parliamo di Gesù Cristo, poi. Bisogna essere cauti, in certe cose. Naturalmente, Gesù Cristo è un tipico esempio di pensiero illusorio: ce ne sono molti nei manicomi.   A volte più d'uno nello stesso posto, come nel famoso caso dei tre Cristi di Ypsilanti. Non si può allo stesso tempo essere razionali, e credersi un grand'uomo universalmente riconosciuto. Dopo essere stato internato ho quindi fatto una specie di compromesso con me stesso, per cercare di comportarmi normalmente.   Anche i maniaci depressivi, tra i quali molti scienziati, vivono una specie di compromesso tra euforia e depressione. Il mio caso era diverso, perché non soffrivo di depressioni ma di allucinazioni. Quanto agli scienziati, mi sembrano relativamente sani: sono i logici, che sono matti! Più della maggior parte dei matematici.   Mi sta prendendo in giro? No, ne ho parlato al Congresso Mondiale di Psichiatria di Madrid nel 1996, e anche Gian-Carlo Rota ha osservato che tra i logici la percentuale di matti è inusuale. Pensi a Post, che veniva curato periodicamente con l'elettroshock. O a Godel, che si lasciò morire di fame. O a Church, che magari era sano ma si comportava ben stranamente: parlava sempre da solo ad alta voce, si mangiava tutti i biscotti ai parties, ...   Quando studiavo a Ucla sono andato a una sua lezione, ed è stata l'unica volta in cui ho visto tutti in un'aula dormire dalla noia, compreso il docente. Anch'io da studente ho seguito un suo corso, noiosissimo. L'ho anche avuto come membro della mia commissione di laurea.   Lasciamo stare i logici, se no poi mi deprimo io. Parlando più in generale, ci sono aspetti patologici nella matematica? Certamente c'è una mistica dei numeri, dalla quale a volte mi sono lasciato anch'io trascinare. Un musulmano mi ha mandato un libro in cui si cerca di mostrare che nel Corano c'è una struttura numerica nascosta, basata sul numero primo 19. Poi c'è il codice della Bibbia, che permette di ritrovare riferimenti a cose già accadute, benchè mai profezie di cose che devono ancora accadere: non sarebbe male, trovare una vera profezia!   Il Socrate di Platone sentiva delle voci, che gli dicevano di non fare certe cose. Durante la mia malattia anch'io sentivo delle voci, come quelle che si sentono nei sogni. Agli inizi avevo solo idee allucinatorie, ma dopo due o tre anni sono arrivate queste voci, che reagivano criticamente ai miei pensieri e sono continuate per vari anni. Alla fine ho capito che erano solo una parte della mia mente: un prodotto del subconscio, o un percorso alternativo della coscienza.   E le servivano per la matematica, come per Ramanujan? Forse in certe società, quali l'antica Grecia o l'India, è possibile coltivare queste voci come un normale pensiero razionale: potrebbe funzionare. Ma nel mio caso non erano piacevoli.   E poi hanno smesso? Più che altro le ho soppresse io. Ho deciso che non volevo più sentirle o esserne influenzato.   Quindi è guarito perché ha deciso di guarire, con la forza di volontà? Non so, non è così chiaro come funzioni la forza di volontà: certo non basta per dimagrire. Ma la guarigione dalle malattie mentali non sembra essere provocata dalle medicine, e a un certo punto io ho smesso di prenderle. Voler essere sani, questa è essenzialmente la sanità mentale.   E non ci sono fattori genetici? Non sono convinto. La malattia mentale può essere una fuga dall'infelicità. E spesso è l'ambiente famigliare che la determina: ad esempio, credo  che questa sia una causa della malattia di mio figlio, che è un caso clinico.   La rappresentazione delle voci che è stata fatta nel film l'ha soddisfatta? Era un modo di rendere visibile e comprensibile queste cose. Sarebbe difficile farlo in maniera scientificamente accurata, perché non si può vedere dentro la mente di qualcuno.   Ma lei, che ha visto dentro alla sua, non potrebbe scriverne? Quando sarà il momento giusto per farlo, probabilmente avrò l'Alzheimer e non ricorderò più ciò che dovrei raccontare.

giovedì 14 giugno 2012

marginal skizo


Prego pe frat' mì ca 'a Maronn l'accumpagna
'ngopp 'a giusta via primma che 'o riavlo s'e magna,
chi ancor mo cerca 'a luce aret' 'o buco 'e na persiana,
chi ancora trov' fiducia pe na birra e a canna mmano.
Troppi frat' miezz' 'a via cu a speranza 'e na fatica,
quando te scit' a matina e pienz' che a vita fa schif',
ogni juorne è tale e quale quando 'o pass' aret' 'e cell',
pe' ogni frat' ca nun molla dint 'o futur' sta l'infern' e nun esser' trist'
si alla fine 'o meglie 'e nuje pò vola nciel',
tombe bianche 'e cimiter', a vita nun è comm o' Vangel,
nata mamma ca mo chiagne pecchè 'o figlio nun s'arrepiglia,
a preferit' 'o nire e 'a morte e se cunsola cu na pera.
Allucca ro balcone, va me piglie 'e sigarette,
fa 'o piacere a chi nun scenne pecchè è a llibertà ristretta,
pecchè 'a vita l'a costrett' a puntà o' fierr' ed aprì 'a cassa,
pecchè 'a vita mette 'e strette e cchiù vaje annanze e chiù te scass'.
Chiove forte e nun tengo colpe,
ogni rimorso brucia 'nguorpo,
p' mò chiagne 'e bagno 'o volto,
tutt'o riest' gira stuorto, e nun è over',
ca aroppe che chiove l'arcobaleno
solleva 'o bbene', e mette tutte e ccos o' post' suoj.
'A speranza è l'ultima cche mmore, ma spisse è 'a primme che t'abbandona,
miezzo 'o grigg' e stu stradon',
ma addò sta ll'ammore, l'agg lett' 'int 'e poesie,
ma spisse è n'eresia che fa male 'e po te manna 'a fore.

martedì 12 giugno 2012

CinemaSommerso

Tonino era piccolo quando andarono via dalle baracche di Poggioreale. Era il penultimo di sei fratelli, cinque maschi e una femmina. Suo padre all’epoca portava l’acqua minerale a Ischia con il camion. Sua madre era una casalinga. All’inizio degli anni Sessanta la famiglia si trasferì al rione Ises di via Monterosa. L’adolescenza l’aveva trascorsa in mezzo alle terre di Scampia. Tonino aveva studiato fino al primo anno di tornitore nella scuola professionale Meucci, alla calata Capodichino, poi andò a lavorare. Il mestiere riuscivi a rubarlo osservando il mastro. Gli stavi vicino e imparavi per atto pratico. A furia di guardare, Tonino aveva imparato il mestiere di muratore. Il mobilificio Gorgone intanto aveva lasciato il posto al Bingo. Con il passare del tempo Tonino si accorse di essere allergico alla polvere. In primavera il naso gli colava una continuazione, gli occhi si arrossavano, si sentiva debole. Per questa ragione smise di esercitare il mestiere. I fastidi sembravano attenuarsi a lungo andare. Fu grazie al cognato che si ritrovò nel commercio di videocassette. Si trattava di Vhs originali, le rese delle edicole che rimandavano indietro a Milano. Da lì, chissà per quale via, venivano stoccate all’ingrosso da gente di Napoli. E da questa gente Tonino e il cognato andavano ad attingere. Una cassetta che costava all’origine diciannovemila e novecento lire la pagavano tremila, e si poteva vendere benissimo a cinquemila. Il cognato di Tonino le vendeva nei mercatini. Il lunedì a Don Guanella, il martedì a Berlingieri, il giovedì a Posillipo, il venerdi a Casoria. E un giorno il cognato di Tonino gli propose di mettersi con lui e di spartire il ricavato, ma presto si resero conto che la giornata non usciva per entrambi. Allora Tonino si mise a vendere videocassette nei mercatini per conto suo. A quell’epoca i dvd non erano ancora in circolazione. Si trattò di una casualità, Tonino non lo potrà mai scordare. Un giorno stava andando al mercato a Posillipo, ma c’era il blocco delle automobili. Parcheggiata la macchina in piazza Dante, andò a mettere la bancarella nei pressi di via Cisterna dell’olio. Consapevole di aver perso la giornata di guadagno, trovò un po’ di spazio che sembrava calzare a pennello per la sua bancarella. Neanche il tempo di piazzarla, e vide avvicinarsi molta gente interessata alla sua mercanzia. Non erano i neofiti che si accontentavano dei filmetti di Bud Spencer, Karate Kid, Renato Pozzetto. Sulla bancarella di Tonino trovavi i film d’autore, quelli impegnativi. Ciò che riuscì a vendere in quella mezza giornata non l’avrebbe venduto in dieci mercatini messi insieme. La gente gli chiedeva di tornare l’indomani e lui non sapeva cosa dire, perché sarebbe dovuto andare al mercato a Casoria. Eppure, in mezza giornata aveva venduto quasi tutto il materiale. Sarebbe stato un pazzo se il giorno dopo fosse andato altrove a vendere. Da quel giorno Tonino decise di restare lì con la bancarella, all’angolo di piazza del Gesù. Poco dopo i dvd avrebbero preso il sopravvento sulle videocassette. Passavano gli anni. La bancarella di Tonino diventò un punto di ritrovo per collezionisti, studenti, appassionati cinefili, ma per lui erano tutti professori, o almeno così li chiamava. Tonino iniziava a interessarsi ai film della sua clientela. Quando tornava a casa la sera, aspettava che i suoi quattro figli piccoli andassero a coricarsi dopo aver visto i cartoni animati, e si sedeva sul divano a guardare quei film. Come Il tempo dei gitani di Kusturica. Due ore e mezza di pellicola sulle vite di questi zingari, le usanze, la musica dei funerali e delle feste, quello che prende i soldi dal morto e fugge via… Per Tonino fu una scoperta. Guardava i film di Ken Loach, Riff Raff, Piovono pietre, e si ritrovava a riflettere: «Guarda a questo! Eppure sta di casa da un’altra parte, sa i problemi nostri e li sta mettendo sulla pellicola! Ma allora tutti quanti abbiamo gli stessi problemi?». Cominciò ad appassionarsi, Tonino. Andava a leggere le recensioni dei critici tromboni, ma la sua passione era alimentata piuttosto dalle discussioni con i clienti intorno alla sua bancarella. Restavano per ore a parlare di attori e registi, tiravano fuori le frasi cult, come quella di Casablanca, quando Humphrey Bogart dice al nero mentre stanno al bar: “Provaci ancora Sam!”. Una sera, mentre stava cenando, Tonino provò a vedere Salò e le 120 giornate di Sodoma. Ma forse aveva scelto il momento sbagliato. Il materiale andava a prenderlo alla Duchesca. C’erano bancarelle piene di film gettati alla rinfusa, e dovevi essere bravo a capire qual’era il titolo buono, perché se mettevi Pierino sulla bancarella al Gesù non ne avresti venduto neanche uno. Invece se portavi un Bergman, un Buster Keaton, un Herzog di sicuro li avrebbero comprati. Era benvoluto dagli altri commercianti, le bancarelle facevano attrazione. E i commercianti del posto rimpiangono quel periodo, perché poi tutti se ne sono dovuti andare, compreso Tonino e la sua bancarella di film. Da quelle parti andò ad abitare il generale Sementa. I vigili iniziarono a intimorire i bancarellari, finché non furono costretti ad andarsene con le buone o con le cattive. Tonino provò a resistere un po’ più degli altri perché con quello campava i suoi figli. Ormai aveva una clientela, erano trascorsi dieci anni. Ma il generale non voleva che fosse occupato quel suolo pubblico. Neanche con la licenza. Proposero ai bancarellari un posto dietro ai Banchi Nuovi, in una piazzetta, ma là non c’era una via di passaggio, e i clienti conquistati in dieci anni Tonino li avrebbe persi in dieci minuti. Gli sequestrarono il materiale tre volte dicendogli che era falso. Insieme agli altri ambulanti portò delle proposte al comune, ma niente, non ci fu verso. Avevano deciso che le bancarelle si dovevano togliere da mezzo, e a un certo punto Tonino ci rinunciò, anche per via dei verbali, perché lavorava per scontare i debiti e non ne valeva più la pena. Così pensò di aprirsi un negozietto in via Capitelli, nei paraggi del Gesù, lo chiamò Miseria e nobiltà di Tonino divvuddì, come lo chiamavano tutti. In tal modo riuscì a risolvere i problemi con i vigili ma sorsero i problemi con le tasse, il pigione. La gente di passaggio non si addentrava nel vico e dopo otto mesi chiuse bottega. Arrivava la bolletta dell’acqua, la spazzatura. Inoltre, il computer e l’era digitale avevano preso il sopravvento sulle videocassette e i dvd. A Tonino non restò altro da fare. Pensò di andare al mercato a comprare la frutta per rivenderla nel rione, ma per fare il fruttivendolo ci voleva l’attrezzatura, e Tonino aveva la macchina, levò i dvd, ci caricò la frutta. Decise di lasciar perdere definitivamente con il commercio. Provò a fare l’imbianchino nelle case, quando usciva il lavoretto andava, non si tirava mai indietro. Oggi fa l’autista di camion. E poi poteva sempre fare il muratore, mi aveva detto nel retro di un bar del suo rione, mentre il figlio più grande l’ascoltava composto. Tonino aveva imparato il mestiere di muratore, poi aveva rifornito mezza Napoli di film, e senza neppure volerlo, un mondo si era aperto davanti al suo sguardo meravigliato e degno. Ma alla fine aveva concluso rammaricato dicendo che questa città non ti da niente. Tu puoi tenere tutte le idee che vuoi. Però non ti da niente. (ab) [da NapoliMonitor.it]

domenica 3 giugno 2012

Jìgì



















Come sei bella più bella stasera mariú!
 Splende un sorriso di stella negli occhi tuoi blu!
 Anche se avverso il destino domani sarà
 Oggi ti sono vicino, perche sospirar? Non pensar!
 Parlami d'amore, mariù!
 Tutta la mia vita sei tu!
 Gli occhi tuoi belle brillano
 Fiamme di sogno scintillano
 Dimmi che illusione non è
 Dimmi che sei tutta per me!
 Qui sul tuo cuor non soffro più
 Parlami d'amore, mariù!
 Parlami d'amore Parlami d'amore Parlami d'amore, mariù!