sabato 16 novembre 2019


Coglierò per te l'ultima rosa del giardino, la rosa bianca che fiorisce nelle prime nebbie. Le avide api l'hanno visitata sino a ieri, ma è ancora così dolce che fa tremare. E' un ritratto di te a trent'anni, un po' smemorata, come tu sarai allora.
Da un altro punto furono viste le stagioni
fino lì sconosciute
solo allora poté sedersi ad ammirare
il senso dell’alternanza.
Non c’è arrivo non c’è sosta non
c’è partenza, ma il succedersi senza tregua.
Questo sì, che a ogni livello ne succeda
un altro, per generazione spontanea
l’aveva saputo della ruota che girava
mentre i mondi finivano, a volte.

Forse è troppo arduo essere individualmente degli "Hoff- nungsträger", dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l'umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere

Non sono che il contabile dell'ombra di me stesso
Se mi vedete qui a volare
E' che so staccarmi da terra e alzarmi in volo
Come voialtri stare su un piede solo.
Difficile non è partire contro il vento
Ma casomai senza un saluto.
Non sono che l'anima di un pesce con le ali
Volato via dal mare per annusare le stelle
Difficile non è nuotare contro la corrente
ma salire nel cielo e non trovarci niente.
Dal mio piccolo aereo di stelle io ne vedo
Seguo i loro segnali e mostro le mie insegne
La voglio fare tutta questa strada
Fino al punto esatto in cui si spegne

Ti cercherò sempre
sperando di non trovarti mai
mi hai detto all’ultimo congedo
Non ti cercherò mai
sperando sempre di trovarti
ti ho risposto
Al momento l’arguzia speculare
fu sublime
ma ogni giorno che passa
si rinsalda in me
un unico commento
ed il commento dice
due imbecilli


L'immaginazione del secolo XVIII è ricca di figure sospese per aria. Non per nulla agli inizi del secolo la traduzione francese delle Mille e una Notte di Antoine Galland aveva aperto alla fantasia occidentale gli orizzonti del meraviglioso orientale: tappeti volanti, cavalli volanti, geni che escono da lampade. Di questa spinta dell'immaginazione a superare ogni limite, il secolo Xviii conoscerà il culmine col volo del Barone di Munchausen su una palla di cannone, immagine che nella nostra memoria si è identificata definitivamente con l'illustrazione che è il capolavoro di Gustave Doré. Le avventure di Munchausen, che come le Mille e una Notte non si sa se abbiano avuto un autore, molti autori o nessuno, sono una continua sfida alla legge della gravitazione: il Barone è portato in volo dalle anatre, solleva se stesso e il cavallo tirandosi su per la coda della parrucca, scende dalla luna tenendosi a una corda più volte tagliata e riannodata durante la discesa. Queste immagini della letteratura popolare, insieme a quelle che abbiamo visto della letteratura colta, accompagnano la fortuna letteraria delle teorie di Newton. Giacomo Leopardi a quindici anni scrive una storia dell'astronomia di straordinaria erudizione, in cui tra l'altro compendia le teorie newtoniane. La contemplazione del cielo notturno che ispirerà a Leopardi i suoi versi più belli non era solo un motivo lirico; quando parlava della luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava.

Calves are easily bound and slaughtered
Never knowing the reason why
But whoever treasures freedom
Like the swallow has learned to fly
How the winds are laughing
They laugh with all the their might
Laugh and laugh the whole day through
And half the summer's night


quel che si lascia da parte, quel che si aggira
le cose rare e quelle a mucchi

giovedì 14 novembre 2019

L’uomo fermo ha davanti colline nel buio.
Fin che queste colline saranno di terra,
i villani dovranno zapparle. Le fissa e non vede,
come chi serri gli occhi in prigione ben sveglio.
L’uomo fermo – che è stato in prigione – domani riprende
il lavoro coi pochi compagni. Stanotte è lui solo.

Le colline gli sanno di pioggia: è l’odore remoto
che talvolta giungeva in prigione nel vento.
Qualche volta pioveva in città: spalancarsi
del respiro e del sangue alla libera strada.
La prigione pigliava la pioggia, in prigione la vita
non finiva, talvolta filtrava anche il sole:
i compagni attendevano e il futuro attendeva.

Ora è solo. L’odore inaudito di terra
gli par sorto dal suo stesso corpo, e ricordi remoti
lui conosce la terra – costringerlo al suolo,
a quel suolo reale. Non serve pensare
che la zappa i villani la picchiano in terra
come sopra un nemico e che si odiano a morte
come tanti nemici. Hanno pure una gioia
i villani: quel pezzo di terra divelto.
Cosa importano gli altri? Domani nel sole
le colline saranno distese, ciascuno la sua.

I compagni non vivono nelle colline,
sono nati in città dove invece dell’erba
c’è rotaie. Talvolta lo scorda anche lui.
Ma l’odore di terra che giunge in città
non sa più di villani. È una lunga carezza
che fa chiudere gli occhi e pensare ai compagni
in prigione, alla lunga prigione che attende


centinaia di posti in cui nascondersi

in sogno, giro di nuovo, attraverso una soglia, e poi, ecco. Esistono ancora pietre su cui può sedersi un pellegrino, in questa città? Ancora portici nell'ombra in cui di colpo il rumore della folla impazzita si attutisce, e entri in un piccolo giardino di aranci nel cuore della città? Dove sono? In alto c'è il cielo azzurro dei sogni, ma appare da un quadrato di fresca ombra. Si direbbe un chiostro, ma non lo riconosco. Non somiglia a nessun luogo che io ricordi. E' il chiostro di fronte al Duomo? Non lo so, di colpo ho la sensazione di essere straniero nella mia città


Innanzitutto io credo che - per arrivare a sentirsi autenticamente figlio di qualcuno, sia in senso letterale che metaforico – bisogna battere, nolenti o volenti, e paradossalmente, le piste disagevoli e un po’ amare del tradimento.
Vale a dire: bisogna provare ad attestarsi altrove dalla corrente, diciamo così, naturale, del proprio sangue, dei proprio cromosomi, e questo altrove, poi, guardare, considerare, capire, studiare, ciò che ci lega sul serio, nel profondo, al nostro imprinting originario, gettando a mare, quando è il caso, come inutile e dannosa, tutta la trita zavorra del luogo comune, del pregiudizio, del folclore, della passività imitativa dei modelli tramandati. Bisogna farsi, insomma, prima di tutto, estranei, stranieri, forestieri, rispetto a se stessi, rispetto al proprio genòma, rispetto al proprio habitat di nascita e cultura, e poi tornare in patria. Bisogna, idealmente e concretamente, camminare, camminare, allontanarsi, estradarsi, esularsi, per terre e lingue ignote, per capire veramente di chi si è o di chi si è stati – magari senza neppure sospettarlo – autenticamente figlio o adolescente.

bene, se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia, sono tuoi
E adesso la città quasi è una mappa
di tanti fallimenti e umiliazioni;
da questa porta ho ammirato i tramonti,
davanti a questo marmo ho atteso invano.
Qui l’indistinto ieri e l’oggi nitido
mi hanno elargito gli ordinari casi
d’ogni destino; qui i miei passi intessono
il loro labirinto incalcolabile.
Qui l’imbrunire di cenere aspetta
il frutto che gli deve la mattina;
qui l’ombra mia si perderà, leggera,
nella non meno vana ombra finale.
Ci unisce la paura, non l’amore;
sarà per questo che io l’amo così tanto.

areto a 'st'uocchie culurate 'e bene
ce aggio astipate tutt'a vita mia
l'anne ca so' vulate stanno 'nzieme
e tutt'e cose ca dicive
tu 'e 'nfunnive 'e verita'
e io te credo
pecche' si' 'o vero
pecche' si' tu ch'appicce
'o cielo quann'e' sera
pecche' si' tu ca si'
sto' male staie cchiu' male
si nun dormo nun t'adduorme
faie 'a nuttata 'nzieme a me
e io te credo
comm'a na fede
quanno me dice tuorne
ampresso sto' 'mpenziero
quanno me chiamme
pe' telefono addo' stongo
pe' me di' quanne te manche
pe' me di' so' pazza 'e te
quanno sto' sulo stongo 'n compagnia
tengo 'o respiro tuoio sempe cu mme
veco 'o fantasma tuoio pe' tutt'e vie
tu si' quase comme 'a dio
si vuo' tu me faie campa'
e io te credo
pecche' si' 'o vero
pecche' si' tu ch'appicce
'o cielo quann'e' sera
pecche' si' tu ca si
sto male staie cchiu' male
si nun dormo nun t'adduorme
staie scetata 'nzieme a me
e io te credo
comm'a na fede
quanno me dice tuorne
ampresso sto' 'mpenziero
quanno me chiamme
pe' telefono addo' stongo
pe' me di' quanne te manche
pe' me di' so' pazza 'e te
il passato è un animale grottesco

C'è una storia. Quand’ero ragazzo, dovevo recitare un brano comico per il talent show della scuola. C’era questa giacca figa che volevo mettere perché mi avrebbe fatto sembrare Albert Brooks. Per mesi risparmiai per questa giacca, ma quando finalmente racimolai abbastanza, andai al negozio ed era andata. L’avevano venduta a qualcun altro. Così, andai a casa e lo dissi a mia madre. Lei disse: «Ti sia da lezione. Questo succede se si desiderano le cose». Era davvero brava nel dispensare lezioni di vita che sembravano buttare la colpa di tutto su di me.
Ma poi, il giorno del talent show, mia madre aveva una sorpresa per me. Mi aveva comprato la giacca. Anche se non sapeva come dirlo, significava che mi voleva bene.
Ora, questa è una bella storia su mia madre. Non è vera, ma è una buona storia, no? L’ho rubata da un episodio di Maude che vidi quando ero bambino, quando lei parla del padre.
Quando lo vidi ricordo di aver pensato 'ecco una storia che voglio raccontare al funerale dei miei genitori', ma non ho altre storie del genere, tutto quello che so sull'essere buoni l'ho appreso dalla tv..e in tv i personaggi incasinati imperfetti alla fine ti sorprendono con questi grandi gesti.
E una parte di me crede ancora che sia questo l'amore.
Ma nella vita vera il grande gesto non basta, devi essere costante, devi essere affidabile sempre!
Non puoi mandare tutto a puttane per poi buttarti in mezzo all'oceano a salvare il tuo migliore amico, risolvere un mistero e volare in Kansas, devi farlo tutti i giorni e farlo è cosi difficile!
Quando sei piccolo ti convinci che i grandi gesti potrebbero bastare, che anche se le cose non sono come volevi ad un certo punto potrebbero sorprenderti con qualcosa di meraviglioso
amu lu silenziu
chi mi fascia lu silenziu
e duci s'abbannuna supra di mia
c'un suspiru di puisia;
amu lu silenziu
chi mi grapi li vrazza
e m'incupuna
sutta scialli di rasu,
sutta veli e giumma
e mi porta luntanu
supra pinni di palumma.
Amu li nichi paisi
cu casi furmichi
e strati majsi:
si veni lu misi
d'austu,
di cavudu giustu,
ca nuddu passa
e tutti li cosi
parinu pusati

Chi ha avuto ha avuto
penza 'a salute
vavattenne deritto pe 'lla
troppo tiempo hè aspettato
pe chello che hè avuto
jurnate jettate vicino a me
Chi ha avuto ha avuto
penza 'a salute
mo può fà tutto chello che vuò
nun te mettere scuorno
ma guardate attuorno
e vide 'a che parte può accumincià
Chi ha avuto ha avuto
penza 'a salute
nun tenimmo chiù niente 'a ce dà
quann 'o suonno è fernuto
chiù ampresso te scite
e chiù ampresso si pronta p'ascì
Chi ha avuto ha avuto
penza 'a salute
e io a chi penzo si nun ce staje tu
mo ca 'o treno è partuto
chi è sagliuto è sagliuto
e chi no resta nterra a guardà

gli amici arrivano, suonano il campanello
che piacere vederti
e come va oggi, e tu versagli un altro goccio
quei due, quelli dei bei tempi
quello snello, lunare, moro triste,
e quello della neve a forma di cuore
i miei amici se ne vanno in mezzo alle cose
con la felicità nel fazzoletto
ma non sono felici, non hanno dove lasciarsi
andare vivi e
domani sarà peggio per questo
benny goodman
e certo mille pesos al mese di stanno ammattonando
il sentiero e a tutti
povera piccola erba strappata, crescione d'estate
gli piace andarci su
chiocciole chiocciole chi vuole
mostrare le corna al sole
e se questa oscurità non li contiene tutt'e due
dove trovarmi a me? nel mio amaro tè di mate
nel mio ufficio all'incrocio di via san martin
e corrientes

in un vortice di polvere
gli altri vedevan siccità
a me ricordava
la gonna di Jenny
in un ballo di tanti anni fa
Sentivo la mia terra
vibrare di suoni, era il mio cuore
e allora perché coltivarla ancora
come pensarla migliore

mercoledì 9 gennaio 2019

Questo tempo sabbatico
prima di una partenza, questo tempo
rubato al tempo, questo tempo non mio
né degli altri, il tempo della valigia
e del ritardo, questo lusso sospeso,
questo margine ricco,
quando, audace e irresponsabile, posso
quello che neanche gli anni mi concedono,
dove accorrono i pensieri più negletti
e sono accolti, e tra un pigiama
e una camicia s'insedia maestoso
ma arrendevole il possibile, dove potrei
persino telefonarti e dichiararmi
folle d'amore, questo unico tempo vero
involontario che ci è dato
per grazia di partenze, questo
non è nient'altro che preghiera.

Mo meva ascì sta forza?
mo meva ascì ca nun sto allero?
me movo indo a nu cuorpo
me movo e nun me pare overo e fà
turnannno a cchiu presenza
risico e bbotte a restà sulo
cusut c'a cuscienza
sai che me vene'o ggenio e lamentà?
posso maje ascì? e me 'nchiommo
posso ascì mai! ma nun va o'pere
si care piglio scuorno
'ati mumenti nun saccio passà
mo meva ascì sta forza?
mo meva ascì ca nun sto allero?
'e vvote gira stuorto
me so fermato senza 'e ce pensà