venerdì 20 dicembre 2013


[....] a Rosignano ci andavamo almeno una volta al mese, dai nonni.
Di mio nonno paterno ho pochi ricordi, ma tutti molto belli e silenziosi.
Una volta andammo insieme in piazza, davanti all'Arci, mi indicò una targa su un muro e mi raccontò dell'anarchico Pietro Gori e poi mi comprò un gelato. Rimasi in mezzo agli altri vecchietti, ai muratori come lui che chiacchieravano, senza annoiarmi, senza stancarmi, senza bisogno di correre o giocare, perchè davvero in quel momento il tempo si era fermato. Questo quando ancora stava bene. Perchè poi si ammalò, anche se io non capii molto bene, ero ancora un bambino. Però non usciva più, non parlava più, dimagriva e stava sempre in pigiama. Si toccava qualcosa, forse un catetere, forse una ferita d'operazione, non ricordo bene adesso, e mia nonna lo picchiava sulla mano come se fosse anche lui un ragazzino. Mi spiaceva. Una domenica pomeriggio, dopo un pranzo, mamma mi disse che loro, tutti gli adulti, dovevano fare un giro fuori. Non volevano portarmi e si inventarono che dovevo rimanere con nonno. Avevo voglia? Si. Appena uscirono tutti, i miei genitori gli zii e anche i cugini, il nonno mi sorrise, poi si alzò in piedi e mi indicò, senza parlare, perchè non parlava più, un mobile nel soggiorno. Mi avvicinai al mobile. Annuì, sorrise e indicò col dito in alto. Spuntava una scatola nera, di cuoio. Presi una seggiola e raggiunsi la scatola. Lui annuiva. Dentro c'era un vecchio cannocchiale. Lo afferrò. Mi fece cenno di seguirlo alla finestra. Mi affacciai. Eravamo al quinto piano di un palazzone della 167 di Rosignano Solvay, intorno c'erano altri edifici popolari, da un lato la Coop, dall'altro l'Aurelia e la ferrovia, davanti il mare e più indietro le immense ciminiere grigie della fabbrica. Erano ciminiere davvero enormi, e io mi ricordo che, come due imbecilli, ignari dei veleni, io e mio padre facevamo a gara a chi aveva la ciminiera più grossa: vinceva lui, perchè quelle di Rosignano erano più grandi di quelle di Scarlino e Piombino. Nonno puntò il cannocchiale, poi lo spostò di poco. Sorrise. Poi si abbassò al livello dei miei occhi, rimise a fuoco, e mi fece cenno di guardare. Ero stregato da quella situazione. Quale segreto di pirati aveva scoperto? Misi gli occhi nel cannocchiale e vidi nel casermone popolare di fronte una signora che rigovernava i piatti all'acquaio, col grembiule. Staccai gli occhi dalle lenti. Guardai nonno. Sorrideva felice. Poi portò un dito davanti al naso. "Silenzio. Non lo diciamo a nessuno". Io annuii, sorridendo. Davvero il tempo si era fermato.
[.....] (da Amianto, di Renato Prunetti)