Vale a dire: bisogna provare ad attestarsi altrove
dalla corrente, diciamo così, naturale, del proprio sangue, dei
proprio cromosomi, e questo altrove, poi, guardare, considerare,
capire, studiare, ciò che ci lega sul serio, nel profondo, al nostro
imprinting originario, gettando a mare, quando è il caso, come
inutile e dannosa, tutta la trita zavorra del luogo comune, del
pregiudizio, del folclore, della passività imitativa dei modelli
tramandati. Bisogna farsi, insomma, prima di tutto, estranei,
stranieri, forestieri, rispetto a se stessi, rispetto al proprio
genòma, rispetto al proprio habitat di nascita e cultura, e poi
tornare in patria. Bisogna, idealmente e concretamente, camminare,
camminare, allontanarsi, estradarsi, esularsi, per terre e lingue
ignote, per capire veramente di chi si è o di chi si è stati –
magari senza neppure sospettarlo – autenticamente figlio o
adolescente.