giovedì 2 febbraio 2017
Lei lavorò a tagliare la carne con accanimento, aveva voglia di far male e farsi male. Ficcarsi il coltello nella mano, farlo scivolare, adesso, dalla carne morta a quella sua, viva. Urlare, scagliarsi contro gli altri, far pagare a tutti la sua incapacità di trovare un equilibrio. Ah, Lina Cerullo, sei incorreggibile. Perché hai messo su quell’elenco? Non vuoi farti sfruttare? Vuoi migliorare la tua condizione e quella di questa gente? Sei convinta che tu, loro, comincerete da qui, da ciò che siete adesso, e poi vi unirete alla marcia vittoriosa del proletariato di tutto il mondo? Macché. Marcia per diventare cosa? Ancora e sempre operai? Operai che sgobbano dalla mattina alla sera, ma al potere? Stronzate. Aria fritta per indorare la pillola della fatica. Sai bene che è una condizione terribile, non va migliorata ma cancellata, lo sai fin da piccola. Migliorare, migliorarsi? Tu, per esempio, sei migliorata, sei diventata come Nadia o Isabella? Tuo fratello è migliorato, è diventato come Armando? E tuo figlio è come Marco? No, noi restiamo noi loro loro. Allora perché non ti rassegni? Colpa della testa che non sa calmarsi, cerca di continuo un modo per funzionare. Disegnare scarpe. Brigare per mettere su un calzaturificio. Riscrivere gli articoli di Nino, ossessionarlo fino a che non faceva come dicevi tu. Usare a modo tuo le dispense di Zurigo, con Enzo. E adesso dimostrare a Nadia che se lei fa la rivoluzione, tu la fai ancora di più. La testa, ah sì, il male è là, è per l’insoddisfazione della testa che il corpo si sta ammalando. Sono stufa di me, di tutto. Sono stufa anche di Gennaro: il suo destino, se gli va bene, è finire in un posto come questo a strisciare per cinque lire in più davanti a qualche padrone. Allora? Allora, Cerullo, prenditi le tue responsabilità e fa’ quello che hai sempre avuto in mente: spaventare Soccavo, togliergli il vizio di chiavarsi le operaie dentro l’essiccatoio. Fa’ vedere che cosa hai saputo preparare allo studente con la faccia da lupo. Quell’estate a Ischia. Le bibite, la casa di Forio, il letto lussuoso su cui sono stata con Nino. I soldi venivano da questo posto, da questo malodore, da queste giornate passate nello schifo, da questa fatica pagata poche lire. Cosa ho tagliato, qui? Schizza fuori una pasta giallastra, che ribrezzo. Il mondo gira ma, meno male, se cade si rompe.