un vuoto dove passa ogni cosa
venerdì 30 dicembre 2016
.
Natale 1993
Ruppemi l’alto sonno nella testa
Un lieve suono udì e mi riscossi
Lasciando il torpore del caldo letto
L’occhio riposato intorno mossi
Dritto levato e fisso mi guardai
Per capir la cagion del mio risveglio
Vero è che in su la branda mi trovai
Nella stanza dal sole illuminata
Dormito tanto avea dovuto
Che la mente un po mi dolea
Come s’io fossi nato in quel momento
Poi che alzato mi fui ripensai un poco a dove stavo
E che un altro anno era passato
La mia mente viaggiava per i giorni
Che vissuti avea con tutti voi
Agli errori fatti alle prese decisioni
Ai dispiaceri e gioie che ho passato in sedici anni
Che è quanto ho vissuto
Aperta poi che ebbi la porta della mia stanza
Vi ritrovai nella casa sparsi
Già tutti svegli ed operosi
Dai muri della casa uscì un calore
E le vostre parole potei udire
Fermo in su la porta io restai
A respirar quell’aria in festa
Che sapea di pace e di dolcezza
auguri
carlo
E dopo questo, cos'è mai il perdono?
Sì, la storia ci dà troppo tardi
ciò in cui più non crediamo
o se crediamo ancora
soltanto nel ricordo
come passioni riconsiderate...
...Ciò che è pensato può
essere dispensato...
Penso che né paura né coraggio
ci salvino,
i vizi innaturali hanno per padre
il nostro
stesso
eroismo.
Le virtù... Le virtù ci sono imposte
dai nostri osceni crimini...
Perch'io non spero più di ritornare
perch'io non spero
perch'io non spero più di ritornare
perchè dovrei rimpiangere
l'abusata potenza del mio regno?
E prego di poter dimenticare
queste cose che troppo
discuto con me stesso e troppo spiego
poiché non spero più di ritornare...
Sì, la storia ci dà troppo tardi
ciò in cui più non crediamo
o se crediamo ancora
soltanto nel ricordo
come passioni riconsiderate...
...Ciò che è pensato può
essere dispensato...
Penso che né paura né coraggio
ci salvino,
i vizi innaturali hanno per padre
il nostro
stesso
eroismo.
Le virtù... Le virtù ci sono imposte
dai nostri osceni crimini...
Perch'io non spero più di ritornare
perch'io non spero
perch'io non spero più di ritornare
perchè dovrei rimpiangere
l'abusata potenza del mio regno?
E prego di poter dimenticare
queste cose che troppo
discuto con me stesso e troppo spiego
poiché non spero più di ritornare...
'a casa mì
stazione di Campiglia Marittima/febbraio duemilatredici /elezioni politiche /aspettando un intercity /ritardi/centoventi minuti/ parliamo tra ragazzi/ si fuma sul binario /ci riconosciamo /siamo tutti del sud/ torniamo/ il voto è una scusa/ parliamo di politica/ tu che voti/ io che voto/ tu ci credi/ io ci penso/ tu ci speri/ io ci spero/ tutti/ tutti ne parliamo/ il movimento a cinque stelle/ forse ci assomiglia/ qualcosa/ qualcosa di nuovo puo accadere/ ci speri/ siamo sempre di più a parlarne/ ci raccontiamo la vita/ ci raccontiamo più che ad un amico/ il treno/ finalmente/ non ci importa dei posti/ troviamo una carrozza vuota/ sediamoci tutti vicini/ continuiamo a parlare/ insieme fino a napoli/ aspettiamo le elezioni /qualcosa puo cambiare/ per noi/ per te/ tu ci credi/ io ci penso/ scendi pure tu a napoli/ scendiamo tutti a napoli /ci rivedremo forse/ 590 /571 /592 /5431 se fai un cambio /come ci si innamora/ trecento chilometri di distanza/ come faccio/ tu come fai /il lavoro /il lavoro/ i parenti vivono fuori /sono finito sotto /pure tu /occhi conosciuti /somigli a mio fratello/ pure lui genova napoli/ andata e ritorno/ un intercity /sempre in ritardo /vuoi un sorso di birra/ pensieri sui blocchetti/ passano le ore/ tu ci speri /io ci penso /fumiamo tra i vagoni.
Stazione di Campiglia Marittima /quattro anni dopo /un messaggio da mio
fratello/ hanno deciso il nuovo governo/ il potere senza maschera /vecchio potere/ potere vecchio /come chi sceglie di appassire/ oggi /aspettando un treno/ ancora in ritardo/ ci guardiamo/ non si parla di politica/ non ti fidi
più di nessuno /non ci credi/ io ci penso/ non ci credo/ parliamo un po/ somigli a mio fratello/ ora aspetta un figlio/ il lavoro
/forse mi rinnovano il lavoro/ come ti trovi fuori/ questo vento taglia la faccia/ il treno/ finalmente/ cambiamo posto/ facciamoci compagnia/ tu dove scendi/ parliamo ancora/ piove/ come è bella Capalbio/ prendi sempre lo stesso treno/ non ci siamo mai visti/ ci
riconosciamo/ vuoi un po di pane/ forse c'eri anche quattro anni fa/ il giorno delle elezioni/tu ci speravi/ io non sapevo che pensare /tornando dall'ultimo saluto a
mio nonno /sette ore di treni/ coincidenze in ritardo/ per correre da lui/ l'ultima barba/ la famiglia/ di nuovo tutti insieme/ perché non sempre/ ora c'è
un po di sole/ ma chi è questo nuovo presidente/ il lavoro/ forse mi rinnovano il lavoro/dormiamo qualche
minuto/ ci vorrà ancora un po/ non ci aiuterà nessuno/ ci pensi/ ci penso /somigli a mio fratello/ chiudi gli occhi/ ci vorrà ancora un po/ come è bella gaeta
no one's ever really ready
Scenn'a quota,
saglie 'o vuoto
saglie 'o vuoto
tuorn e nun saje si truove 'o bbuono
mentre vuol', l'ansia nguollo
finalmente tuocc'o suolo
from my chilhood a man fell
e quanti frat' cu'e frat' scumpars'
'e vetr' rutt' e 'o sanghe spars' fann' brutt' ppe nuje
ma no ppe chi se spart' 'e part' e tutt'a vita fuje
pensanno a comm', cercanno arint' nun truov' l'omm
'e vetr' rutt' e 'o sanghe spars' fann' brutt' ppe nuje
ma no ppe chi se spart' 'e part' e tutt'a vita fuje
pensanno a comm', cercanno arint' nun truov' l'omm
domenica 18 dicembre 2016
nomentano fuori le mura
sabato 3 dicembre 2016
storia del nuovo cognome
Arrivò il 12 marzo, una giornata mite, già primaverile.
Lila volle che andassi presto nella sua vecchia casa, che l’aiutassi a lavarsi,
a pettinarsi, a vestirsi. Mandò via la madre, restammo sole. Si sedette sul
bordo del letto in mutande e reggiseno. Accanto aveva l’abito da sposa, che
pareva il corpo di una morta; davanti, sul pavimento a esagoni, c’era la conca
di rame ricolma d’acqua fumante.
«Qualsiasi cosa succeda, tu
continua a studiare». «Altri due anni: poi prendo la licenza e ho finito». «No,
non finire mai: te li do io i soldi, devi studiare sempre». Feci un risolino
nervoso, poi dissi: «Grazie, ma a un certo punto le scuole finiscono». «Non per
te: tu sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutti, maschi e
femmine». Si alzò, si tolse mutande e reggiseno, disse: «Dài, aiutami, che
sennò faccio tardi». Non l’avevo mai vista nuda, mi vergognai. Oggi posso dire
che fu la vergogna di poggiare con piacere lo sguardo sul suo corpo, di essere
la testimone coinvolta della sua bellezza di sedicenne poche ore prima che
Stefano la toccasse. La lavai con gesti
lenti e accurati, prima lasciandola accoccolata nel recipiente, poi chiedendole
di alzarsi in piedi, e ho ancora nelle orecchie il rumore dell’acqua che
sgocciola, e m’è rimasta l’impressione che il rame della conca fosse di una
consistenza non diversa da quella della carne di Lila, che era liscia, soda,
calma. Ebbi sentimenti e pensieri confusi: abbracciarla, piangere con lei,
baciarla, tirarle i capelli, ridere, fingere competenze sessuali e istruirla
con voce dotta, distanziarla con le parole proprio nel momento di massima
vicinanza. Ma alla fine rimase solo il pensiero ostile che la stavo mondando
dai capelli alle piante dei piedi, di buon mattino, solo perché Stefano la
sporcasse nel corso della notte.
L’aiutai ad asciugarsi, a vestirsi, a indossare l’abito da sposa che io – io,
pensai con un misto di fierezza e sofferenza – avevo scelto per lei. La stoffa
diventò viva, sul suo candore corse il calore di Lila, il rosso della bocca,
gli occhi scurissimi e duri. Alla fine si infilò le scarpe da lei stessa
disegnate. «Sono brutte» disse. «Non è vero». Rise in modo nervoso. «Ma
sì, guarda: i sogni della testa sono finiti sotto i piedi». Si girò con
un’espressione improvvisa di spavento: «Cosa mi sta per succedere, Lenù?»
mercoledì 30 novembre 2016
la luna, un solleone
Stringimi forte i polsi
dentro le mani tue
e ascolta ad occhi chiusi
questa è la mia canzone.
Prego raccogli l'amore, ti prego
per un sorriso, se vuoi, te la cedo
Stringimi forte i polsi
dentro le mani tue
ed anche a occhi chiusi
se tu mi vuoi bene saprò.
Sì, sì, lo so, non è un granchè
la canzone che ti voglio regalare
ma è stata lei che ha scelto me
nell'istante che ti stavo a guardar
come un vento che prima non c'è
d'improvviso l'ho sentita arrivar
nel momento che sorridevi a me
forse un disco s'è messo a suonar.
Stringimi forte i polsi
dentro le mani tue
dentro le mani tue
e ascolta ad occhi chiusi
questa è la mia canzone.
Prego raccogli l'amore, ti prego
per un sorriso, se vuoi, te la cedo
Stringimi forte i polsi
dentro le mani tue
ed anche a occhi chiusi
se tu mi vuoi bene saprò.
Sì, sì, lo so, non è un granchè
la canzone che ti voglio regalare
ma è stata lei che ha scelto me
nell'istante che ti stavo a guardar
come un vento che prima non c'è
d'improvviso l'ho sentita arrivar
nel momento che sorridevi a me
forse un disco s'è messo a suonar.
Stringimi forte i polsi
dentro le mani tue
domenica 27 novembre 2016
tuscolana
io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
o guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
o guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più
una menos
'e ssentevo quanno ero figliola, 'o cchiammavano ammore
chellu fuoco ca te nasce mpietto e ca maje se ne more
'e ccumpagne parlavano zitto 'e na cosa scurnosa
ca na femmena 'a fa sulamente 'o mumento ca sposa
e pure si sposa nun songo stata maje
saccio comme volle 'o sanghe e 'o core sbatte forte assaje
quanno 'a voce d'a passione chiamma a te
quanno zitto int' 'a na recchia tu te siente 'e murmulià
nun te scurda' pecchè sta vita se ne va
nun te scurda', maje 'e te
nun t' 'o scurda' pecchè si no che campe a fa'
nun te scurda' 'e te maje
e tanto 'e llammore ca 'a sciorta m'a miso int' 'e mmane
ca 'o vvengo e 'a ggente pe' chesto me chiamma puttana
nun'aggio maje saputo sta' carcerata int' 'a casa
e n'omm ca capeva chest'nun l'aggio mai truat'
a chi me schifa dico vuo' vede'
ca 'o cuorpo tu t' 'o vinne comme a me
nun me suppuorte e chest' 'o ssaccio già
i' songo 'o specchio addò nun te vulisse maje guarda'
mamma, puttana o brutta copia 'e n'ommo
chest'è na femmena int' 'a chesta parte 'e munno
ca quanno nasce a cchesto è destinata
e si 'a cummanna 'o core d' 'a ggente è cundannata.
mamma, puttana o brutta copia 'e n'ommo
avesse voluto 'e cchiù int' 'a chesta parte 'e munno
apprezzata no p' 'e mascule sgravate no p' 'e chisto
cuorpo bello no p' 'e mazzate che aggio dato
sulamente pecchè femmena so' stata
e nu catenaccio 'o core nun me l'aggio maje nzerrato
sulamente pecchè femmena so' stata
sulamente femmena...
chellu fuoco ca te nasce mpietto e ca maje se ne more
'e ccumpagne parlavano zitto 'e na cosa scurnosa
ca na femmena 'a fa sulamente 'o mumento ca sposa
e pure si sposa nun songo stata maje
saccio comme volle 'o sanghe e 'o core sbatte forte assaje
quanno 'a voce d'a passione chiamma a te
quanno zitto int' 'a na recchia tu te siente 'e murmulià
nun te scurda' pecchè sta vita se ne va
nun te scurda', maje 'e te
nun t' 'o scurda' pecchè si no che campe a fa'
nun te scurda' 'e te maje
e tanto 'e llammore ca 'a sciorta m'a miso int' 'e mmane
ca 'o vvengo e 'a ggente pe' chesto me chiamma puttana
nun'aggio maje saputo sta' carcerata int' 'a casa
e n'omm ca capeva chest'nun l'aggio mai truat'
a chi me schifa dico vuo' vede'
ca 'o cuorpo tu t' 'o vinne comme a me
nun me suppuorte e chest' 'o ssaccio già
i' songo 'o specchio addò nun te vulisse maje guarda'
mamma, puttana o brutta copia 'e n'ommo
chest'è na femmena int' 'a chesta parte 'e munno
ca quanno nasce a cchesto è destinata
e si 'a cummanna 'o core d' 'a ggente è cundannata.
mamma, puttana o brutta copia 'e n'ommo
avesse voluto 'e cchiù int' 'a chesta parte 'e munno
apprezzata no p' 'e mascule sgravate no p' 'e chisto
cuorpo bello no p' 'e mazzate che aggio dato
sulamente pecchè femmena so' stata
e nu catenaccio 'o core nun me l'aggio maje nzerrato
sulamente pecchè femmena so' stata
sulamente femmena...
martedì 22 novembre 2016
cancellare le tracce
meno male
che non c'è più il letto matrimoniale
meglio l'accampamento
ho sempre detestato
i letti matrimoniali
non ho mai avuto
un letto matrimoniale
solo divani
complessi infantili
compromessi con l'arredamento
ho condotto una vita disordinata
ma ho sempre tenuto i miei panni ordinati
ma ho sempre detestato i vestiti
non ho mai avuto veri vestiti
ho solo accostato capi casuali
complessi adolescenziali
compromessi con l'abbigliamento
non sto a mio agio
in un letto matrimoniale
non sto a mio agio
nei vestiti
non sto a mio agio nel mondo
se stessi a mio agio
in un letto matrimoniale
e a mio agio
nei vestiti
starei a mio agio nel mondo
oppure
se stessi a mio agio nel mondo
starei a mio agio
in un letto matrimoniale
a mio agio
nei vestiti
ma perchè devo stare a mio agio
perchè bisogna stare a proprio agio
vino e psicoanalisi
vino
Nì se n'è andata
di nuovo una casa
che sembra un teatro vuoto
non c'è più nessuna parte da recitare
che non c'è più il letto matrimoniale
meglio l'accampamento
ho sempre detestato
i letti matrimoniali
non ho mai avuto
un letto matrimoniale
solo divani
complessi infantili
compromessi con l'arredamento
ho condotto una vita disordinata
ma ho sempre tenuto i miei panni ordinati
ma ho sempre detestato i vestiti
non ho mai avuto veri vestiti
ho solo accostato capi casuali
complessi adolescenziali
compromessi con l'abbigliamento
non sto a mio agio
in un letto matrimoniale
non sto a mio agio
nei vestiti
non sto a mio agio nel mondo
se stessi a mio agio
in un letto matrimoniale
e a mio agio
nei vestiti
starei a mio agio nel mondo
oppure
se stessi a mio agio nel mondo
starei a mio agio
in un letto matrimoniale
a mio agio
nei vestiti
ma perchè devo stare a mio agio
perchè bisogna stare a proprio agio
vino e psicoanalisi
vino
Nì se n'è andata
di nuovo una casa
che sembra un teatro vuoto
non c'è più nessuna parte da recitare
Sono passati i giorni. Ho guardato nella posta
elettronica, in quella cartacea, ma senza speranza. Io ho scritto spessissimo a
lei, lei non mi ha quasi mai risposto: questa è stata sempre la consuetudine.
Preferiva il telefono o le lunghe notti di chiacchiere quando andavo a Napoli. Ho
aperto i miei cassetti, le scatole di metallo dove conservo cose di ogni
genere. Poche. Ho buttato via tanta roba, in particolare ciò che la riguardava,
e lei lo sa. Ho scoperto che non ho niente di suo, non un’immagine, non un
biglietto, non un regalino. Mi sono sorpresa io stessa. Possibile che in tutti
questi anni non mi abbia lasciato niente di sé, o, peggio, io non abbia voluto conservare
alcunché di lei? Possibile.
Rino è andato in camera sua e si è reso conto che non
c’era niente, nemmeno uno dei vestiti di sua madre, né estivi né invernali,
solo vecchie grucce. L’ho mandato in giro a frugare per casa. Sparite le
scarpe. Spariti i pochi libri. Sparite tutte le foto. Spariti i filmini.
Sparito il suo computer, anche i vecchi dischetti che si usavano una volta,
tutto, ogni cosa della sua esperienza di strega elettronica che aveva cominciato
a destreggiarsi coi calcolatori già sul finire degli anni Sessanta, all’epoca
delle schede perforate. S’è tagliata via
da tutte le foto. È sparita persino la scatola con i documenti: che so, vecchi certificati
di nascita, contratti telefonici, ricevute di bollette. Lila come al solito
vuole esagerare, ho pensato. Stava dilatando a dismisura il concetto di traccia.
Voleva non solo sparire lei, adesso, a sessantasei anni, ma anche cancellare
tutta la vita che si era lasciata alle spalle. Mi sono sentita molto
arrabbiata. Vediamo chi la spunta questa volta, mi sono detta. Ho acceso il
computer e ho cominciato a scrivere ogni dettaglio della nostra storia
subaugusta lato sinistro
A Roma ho visto che il Tevere non è bello, ma trascurato nelle banchine, da dove spuntano rive a cui non c'è chi metta mano. Nessuno usa le navi da carico brunite dalla ruggine, nemmeno le barche. Arbusti ed erba alta sono infangati, e sulle balaustre solitarie dormono immobili gli operai nella calura di mezzogiorno. Fino ad ora non si è mai girato nessuno. Nessuno è mai caduto giù. Dormono dove i platani dispiegano loro un'ombra, e si calcano il cielo sulla testa. Bella è però l'acqua del fiume, verde argilla o biondo – a seconda di come la luce lo irradia. Bisogna camminare lungo il Tevere e non guardarlo dai ponti, pensati come strade che portano all'isola. La Tiberina è abitata dai Noantri – noi altri. È da intendere così, che essa, isola dei malati e dei morti fin dall'antichità, vuole essere abitata anche da noi altri, percorsa anche da noi, perché è a sua volta una nave e naviga molto lentamente nell'acqua con tutti i carichi, in un fiume che non la sente un peso.
A Roma ho visto che la basilica di San Pietro sembra più piccola delle sue reali dimensioni e tuttavia è troppo grande. Si dice che Dio abbia voluto che la sua chiesa sorgesse sulla pietra e fosse solida. Ora si leva sopra la tomba del suo santo, che stanno riportando alla luce. Così è il santo stesso a metterla in pericolo e a indebolirla. Ciononostante le grandi solennità si svolgono ancora chiassosamente, con balletti in porpora sotto baldacchini, e nelle nicchie l'oro sostituisce la cera. Chiesa granne divozzione poca. Sono ancora i poveri, nella loro avvedutezza, a preoccuparsi che la chiesa non crolli, e colui che l'ha fondata ormai fa conto sul passo degli angeli.
A Roma ho visto che molte case assomigliano al Palazzo Cenci, dove la sventurata Beatrice visse prima della sua esecuzione. I prezzi sono alti e le tracce della barbarie dovunque. Sulle terrazze i mastelli con gli oleandri marciscono cedendo ai fiori bianchi e rossi; i quali vorrebbero volare via, giacché non riescono a tener testa all'odore di sporcizia e decomposizione che rende il passato più vivo dei monumenti.
A Roma ho
A Roma ho visto che la basilica di San Pietro sembra più piccola delle sue reali dimensioni e tuttavia è troppo grande. Si dice che Dio abbia voluto che la sua chiesa sorgesse sulla pietra e fosse solida. Ora si leva sopra la tomba del suo santo, che stanno riportando alla luce. Così è il santo stesso a metterla in pericolo e a indebolirla. Ciononostante le grandi solennità si svolgono ancora chiassosamente, con balletti in porpora sotto baldacchini, e nelle nicchie l'oro sostituisce la cera. Chiesa granne divozzione poca. Sono ancora i poveri, nella loro avvedutezza, a preoccuparsi che la chiesa non crolli, e colui che l'ha fondata ormai fa conto sul passo degli angeli.
A Roma ho visto che molte case assomigliano al Palazzo Cenci, dove la sventurata Beatrice visse prima della sua esecuzione. I prezzi sono alti e le tracce della barbarie dovunque. Sulle terrazze i mastelli con gli oleandri marciscono cedendo ai fiori bianchi e rossi; i quali vorrebbero volare via, giacché non riescono a tener testa all'odore di sporcizia e decomposizione che rende il passato più vivo dei monumenti.
A Roma ho
E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l'unico modo per sentire la vita,
l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l'unico modo per sentire la vita,
l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
ricordati Luca ca 'o paese nostro è 'o paese dell'ulivo, do malu de luna, 'o paese degli arcobaleni
ti ricordi Vincè, ti ricordi 'o capomastro quando cumincia a costruì na casa
getta una pietra sull'ombra della prima persona ca se trova a passà
perchè ci vuole lu sacrificio perchè la casa venga su solida
ti ricordi Vincè, ti ricordi 'o capomastro quando cumincia a costruì na casa
getta una pietra sull'ombra della prima persona ca se trova a passà
perchè ci vuole lu sacrificio perchè la casa venga su solida
torre argentina
Me sa mill'anni che se facci notte
p'annà da solo via da questa parte
p'annà
p'annà da solo via da questa parte
p'annà
da solo
via
da questa parte
m'è vienuta
m'è vienuta
la smania
de la morte
Tu sei un rivoluzionario. Io amo invece gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l’uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se “rivoluzionario”. Credo alla parola che si ascolta e che si dice, ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuol essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive, ai testi più o meno sacri e alle ideologie. Credo sopra a ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello “spirituale”: alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d’evasione o individualistici – e tanto più “privati” mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m’ingegno che siano riconosciuti.
La bellezza è degli sconfitti. Il futuro non è dei vincitori, è di chi ha la capacità di vivere. E chi ha la capacità di vivere, di essere totalmente se stesso, è inevitabilmente sconfitto. È qui il seme che crea e si traduce in futuro, vita: una sconfitta di straordinaria bellezza. Le facce degli sconfitti, le loro voci, continuano ad esistere. Sono i vincitori che non esisteranno più. Questo è il grande splendore dell’esistenza
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