mercoledì 22 gennaio 2020
comprò un romanzo: Piccole donne. Si decise a farlo perché lo conosceva già e le era piaciuto moltissimo. La Oliviero, in quarta, aveva dato a noi più brave libri da leggere. A lei era toccato Piccole donne con la seguente frase di accompagnamento: «Questo è per le grandi ma per te va bene», e a me il libro Cuore, senza nemmeno una parola che mi spiegasse di cosa si trattava. Lila si era letta sia Piccole donne che Cuore, in pochissimo tempo, e diceva che non c’era confronto, secondo lei Piccole donne era bellissimo. Io non ero riuscita a leggerlo, a stento avevo finito Cuore entro i termini stabiliti dalla maestra per la restituzione. Ero una lettrice lenta, tuttora sono così. Lila, quando aveva dovuto ridare il libro alla Oliviero, si era rammaricata sia di non poter rileggere di continuo Piccole donne, sia di non poterne parlare con me. Perciò una mattina si decise. Mi chiamò dalla strada, andammo agli stagni, nel posto dove avevamo seppellito dentro una scatoletta di metallo i soldi di don Achille, prendemmo il denaro e andammo a chiedere a Iolanda la cartolaia, che esponeva in vetrina chissà da quando una copia di Piccole donne ingiallita dal sole, se bastava. Bastava. Appena diventammo proprietarie del libro cominciammo a vederci in cortile per leggerlo o a mente, l’una vicina all’altra, o ad alta voce. Ce lo leggemmo per mesi, così tante volte che il libro diventò sudicio, sbrindellato, perse il dorso, cominciò a cacciare fili, a sgangherare i quinterni. Ma era il nostro libro, lo amammo molto. Dicevamo: quando diventeremo ricche faremo questo, faremo quello. A sentirci, pareva che la ricchezza fosse nascosta in qualche posto del rione, dentro forzieri che una volta aperti mandavano bagliori, e aspettasse solo che noi la trovassimo. Poi, non so perché, le cose cambiarono e cominciammo ad associare lo studio ai soldi. Pensammo che studiare molto ci avrebbe fatto scrivere libri e che i libri ci avrebbero rese ricche. La ricchezza era sempre un luccicore di monete d’oro chiuse dentro innumerevoli casse, ma per arrivarci bastava studiare e scrivere un libro. «Ne scriviamo uno insieme» disse Lila una volta e la cosa mi riempì di gioia. Forse l’idea prese piede quando lei scoprì che l’autrice di Piccole donne aveva fatto così tanti soldi che aveva dato un po’ delle sue ricchezze alla famiglia. Ma non ci giurerei. Ne ragionammo, dissi che potevamo cominciare subito dopo l’esame di ammissione. Acconsentì, però non seppe resistere. Mentre io avevo molto da studiare anche per via delle lezioni pomeridiane con Spagnuolo e la maestra, lei era più libera, si mise al lavoro e scrisse un romanzo senza di me.