Poi mi calmai. Mi sciacquai la bocca e mi lavai con cura il
viso. A vederlo pallido e disfatto nello specchio inclinato sul lavandino, decisi
all'improvviso di truccarmi.
Era una reazione inconsueta. Non mi truccavo né spesso né volentieri.
L'avevo fatto da ragazza ma da qualche tempo non lo facevo più: non mi
pareva che il trucco mi migliorasse. Ma in quell'occasione mi sembrò di averne
bisogno. Presi il beauty dalla valigia di mia madre, tornai nel bagno, lo aprii, ne
estrassi un vasetto ricolmo di crema idratante sulla cui superficie era rimasta
l'impronta timida del dito di Amalia. Cancellai quella sua traccia con la mia e ne
usai con abbondanza.
Mi passai la crema sulla faccia con foga, stirandomi le guance. Poi ricorsi alla
cipria e mi velai puntigliosamente il viso.
«Sei un fantasma» dissi alla donna nello specchio. Aveva la faccia di una
persona intorno ai quaranta, chiudeva prima un occhio, poi l'altro, e su ciascuno
passava una matita nera. Era scarna, aguzza, con zigomi marcati,
miracolosamente senza rughe. Portava capelli tagliati cortissimi per ostentarne il
meno possibile il colore corvino, che del resto con sollievo andava finalmente
sbiadendo nel grigio e si preparava a sparire per sempre.
Passai il mascara.
«Non ti assomiglio» le sussurrai mentre mi davo un po' di fard. E per non
essere smentita, cercai di non guardarla.