e questa esclamazione di sfottente, indecente amore,
“S’agapò”,
questa pernacchia alla mia gobba,
questo epitaffio pagato in anticipo ai miei restanti
giorni,
si sparse ben presto per i vicoli, come un’eco
pulcinellesca.
Per la salita di Spezzano, per l’ansa di Pontecorvo,
per lo spiazzo della Cesàrea,
su, su, fino a vicolo del Pero, dovunque,
lo sberleffo del mio turpe persecutore/persecutrice,
fece adepti, ciurmaglia canora:
“S’agapò. s’agapò, s’agapò.. S’agapò. s’agapò, s’agapò..”
e neppure sapevano che volesse dire ti amo
o che nella più viva delle carni
iniettassero quel grido