martedì 16 settembre 2014

Le vent se lève


 il faut tenter de vivre

domenica 14 settembre 2014

Marco

"..Per sopportare una caduta bisogna conservare una struttura, bisogna cioè proporre il corpo in una serie di posture e di geometrie in grado di assorbire gli urti e riproporre l'energia per il movimento, bisogna grosso modo essere come una palla da biliardo.
Questo sarà il cinema e la vita di Buster Keaton: essere lanciati, come una palla su un tavolo da biliardo, come un bambino su una rampa di scale, costretti a straordinarie geometrie per non rimanere stecchiti e sottoposti a un sistema di attrazione e forze repulsive fondato su desideri, relazioni di potere, addensamenti e sottrazione di corpi, il tutto ritmato dalle macchine.
Quello che però Keaton scopre nelle sue cadute è che l'abilità non basta: mentre ruzzoli via la scala si smonta, ti viene dietro. Il sistema non regge! Le macchine perdono i bulloni, le case crollano sotto il vento, le sposine fuggono e ritornano, e tutta la devastante stupidità dello stile di vita americano emerge come un incubo tragicomico dal quale non ci si può tirare fuori.
Il personaggio di Keaton è come un punto minuscolo inglobato in un ambiente immenso catastrofico e trasformabile: vasti paesaggi che cambiano e strutture geometriche deformabili, rapide e cascate, grandi navi alla deriva del mare, città spazzata via dal ciclone, treni su ponti che crollano.
E in tutto questo c'è il cinema che cerca di proporre un'immagine meno traballante della realtà, un'immagine invitante che lo spettatore cerca di tirare fuori, ma la rottura degli argini dello schermo porterà ad un esondazione capace solo di rendere il tutto più scivoloso."

mercoledì 10 settembre 2014

forty minutes

domenica 7 settembre 2014

broken mirror

mercoledì 3 settembre 2014

unmarried















Maria! Maria! Maria!

Lasciami entrare Maria!
Non posso restare in istrada!
Non Vuoi?
Tu aspetti
che con le guance infossate,
assaggiato da tutti,
insipido
io venga
a biascicar senza denti:
«sono oggi
mirabilmente onesto».
Maria,
vedi:
ho già cominciato ad incurvarmi.
Nelle vie
gli uomini bucheranno il grasso nei loro gozzi a quattro piani,
sporgeranno gli occhietti
lisi da quarant'anni di logorio,
per ammiccare l'un l'altro ghignando
che fra i miei denti
- di nuovo! -
è il panino raffermo della carezza di ieri.
Zuppo ladruncolo stretto dalle pozzanghere,
la pioggia, spruzzando singhiozzi sui marciapiedi,
lecca il cadavere delle vie tartassate dai ciottoli,
e sulle ciglia canute
- si! -
sulle ciglia dei ghiaccioli
gocciolano lacrime dagli occhi
- si! -
dagli occhi abbassati delle grondaie
Succhiò tutti i pedoni il muso della pioggia,
mentre nelle vetture luccicava una fila di pingui atleti:
scoppiavano certuni,
rimpinzati a crepapelle,
e attraverso gli spacchi stillava la sugna,
come un torbido fiume dalle vetture scolava,
insieme con un pane maciullato
la masticatura di vecchie cotolette.
Maria!
Come ficcare una dolce parola nel loro orecchio coperto di grasso?
L'uccello
va mendicando con una canzone,
canta,
affamato e squillante,
ma io sono un uomo, Maria,
semplice,
scatarrato dalla notte tisica nella sudicia mano della Presnja.
Maria vuoi un uomo simile?
Lasciami entrare Maria!
Con lo spasmo delle dita stringerò la gola metallica del campanello!
Maria!
Diventano feroci i pascoli delle strade.
Sul collo come una scalfittura le dita della calca.
Apri!
Fanno male!
Vedi? Sono confitti nei miei occhi
gli spilli di cappelli femminili!
Mi ha lasciato entrare.
Bambina!
Non ti spaurire
se sul mio collo taurino
seggono come un'umida montagna donne dal ventre sudato:
gli è che attraverso la vita io trascino
milioni di enormi casti amori
e milioni di milioni di sudici amorucci.
Non ti spaurire
se ancora una volta
nell'intemperie del tradimento
mi stringerò a migliaia di vezzose faccine.
"Adoratrici di Majakovskij!":
ma questa è davvero una dinastia
di regine salite al cuore d'un pazzo.
Maria più vicino!
Con denudata impudenza
oppure con un pavido tremore
concedimi la florida vaghezza delle tue labbra:
io e il mio cuore non siamo mai vissuti fino a maggio,
e nella mia vita passata
c'è solo il centesimo aprile.
Maria!
Il poeta canta sonetti a Tiana,
mentre io,
tutto di carne,
uomo tutto,
chiedo semplicemente il tuo corpo,
come i cristiani chiedono:
"Dacci oggi
il nostro pane quotidiano".
Maria, concediti!
Maria!
Io temo di scordare il nome tuo
come un poeta teme di scordare
qualche
parola nata fra i tormenti delle notti,
uguale per grandezza a Dio.
Il tuo corpo
io saprò custodire ed amare
come un soldato,
stroncato dalla guerra,
inutile,
ormai di nessuno,
custodisce la sua unica gamba.
Maria,
Non vuoi?
Non Vuoi?
Ah!
Ed allora di nuovo,
afflitto e cupo,
io prenderò il mio cuore
e, irrorandolo di lacrime,
lo porterò
come un cane
porta
nella sua cuccia
la zampa stritolata dal treno.
Con il sangue del cuore allieterò la strada,
fiori di sangue si incolleranno alla polvere della mia giubba.
Mille volte danzerà come Erodiade
il sole attorno alla terra
cranio del Battista.
E quando avrà finito di danzare
il mio numero di anni,
d'un milione di gocce di sangue si coprirà la traccia
che mena alla casa di mio padre.
Uscirò fuori,
sudicio (per le notti trascorse nei fossati), mi metterò al suo fianco,
mi chinerò
per dirgli in un orecchio:
Ascoltate, signor Dio!
Non vi dà noia
inzuppare ogni giorno
nella composta di nuvole gli occhi ingrassati?
Su via, vediamo insieme
di fare un carosello
sull'albero della conoscenza del Bene e del Male!
Onnipresente, tu sarai in ogni armadio,
e a tavola porremo vini tali
che anche all'accigliato Pietro Apostolo
verrà voglia di ballare un ki-ka-pù.
E in paradiso di nuovo ospiteremo le Evucce:
basta che tu dia un ordine
e questa notte stessa
ti porterò in gran frotta
da tutti i viali le ragazze più belle.
Vuoi?
Non vuoi?
Scrolli la testa capelluta?
Aggrondi le ciglia canute?
Tu pensi
che quello con le ali
che ti sta dietro
sappia cosa sia l'amore?
Anch'io sono un angelo; io lo ero,
guardavo negli occhi come un'agnello di zucchero,
mo non voglio più offrire alle giumente
vasi plasmati nella farina di Sèvres.
Onnipresente che hai inventato un paio di braccia
E hai fatto sì che ciascuno
Avesse una sua testa,
perché non hai inventato una maniera
di baciare, baciare e ribaciare
senza tormenti?!
Pensavo che tu fossi un gran Dio onnipotente,
e invece sei un insipiente, un minuscolo deuccio.
Vedi, io mi curvo,
di dietro il gambale
traggo il trincetto.
Alati furfanti!
Rannicchiatevi in paradiso!
Rabbuffate le vostre piumette in uno sbigottito brivido!
Te, impregnato d'incenso, io squarcerò
di qui sino all'Alaska!
Non mi fermerete.
Sia che mentisca
o mi trovi nel giusto,
non potrei essere più calmo.
Guardate:
hanno di nuovo decapitato le stelle,
insanguinando il cielo come un mattatoio!
Ehi, voi!
Cielo!
Toglietevi il cappello!
Me ne vado!