giovedì 20 dicembre 2012
Manuale di psicogeografia
Di tante storie a cui partecipiamo, con più o meno interesse, la ricerca frammentaria di un nuovo stile di vita resta il solo aspetto interessante. Va da sé il più grande distacco nei confronti di alcune discipline, estetiche o altre, la cui insufficienza a questo riguardo è prontamente verificabile. Oc- correrebbe dunque definire alcuni terreni d'osservazione provvisori. E, fra essi, l'osservazione di certi processi del casuale e del prevedibile nelle stra- de. Il termine psicogeografia, proposto da un cabilo illetterato per indicare l'in- sieme dei fenomeni che preoccupavano alcuni di noi verso l'estate del 1953, non è ingiustificato. Non esce dalla prospettiva materialista del condizionamento della vita e del pensiero da parte della natura oggettiva. La geografia, per esempio, rende conto dell'azione determinante di forze naturali generali, come la composizione dei suoli o i regimi climatici, sulle formazioni economiche di una società e, per questa via, sulla concezione che essa può farsi del mondo. La psicogeografìa si proporrebbe lo studio delle leggi esatte e degli effetti precisi dell'ambiente geografico, coscientemente organizzato o meno, in quanto agisce direttamente sul comportamento affettivo degli individui. L'aggettivo psicogeografico, conservando una vaghezza assai simpatica, può dunque applicarsi ai dati accertati da questo genere di investigazioni, ai risultati del loro influsso sui sentimenti umani, e anche più in generale a ogni situazione o ogni comportamento che sembrano partecipare allo
stesso spirito di scoperta. II deserto è monoteista, si è detto ormai da tempo. Si troverà allora illogica e priva di interesse la constatazione che il quartiere che a Parigi si estende tra la piace de la Controscarpe e la rue de l'Arbalète inclini piuttosto al- l'ateismo, all'oblio, al disorientamento degli abituali riflessi? E bene avere dell'utilitario una nozione storicamente relativa. La preoccu- pazione di disporre di spazi liberi che permettessero la circolazione rapida di truppe e l'impiego dell'artiglieria contro le insurrezioni era all'origine del piano di abbellimento urbano adottato dal Secondo Impero. Ma, da ogni altro punto di vista, la Parigi di Haussmann è una città costruita da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla. Oggi, il princi- pale problema che l'urbanistica deve risolvere è quello della buona circola- zione di una quantità rapidamente crescente di automobili. Non è proibito pensare che un urbanismo futuro si applicherà a costruzioni, del pari utili- tarie, che terranno il più largo conto delle possibilità psicogeografiche. Così pure l'attuale abbondanza di vetture private è solo il risultato della propaganda permanente con cui la produzione capitalistica persuade la folla - e questo caso è uno dei suoi successi più sconcertanti - che il posses- so di un'automobile è proprio uno dei privilegi che la nostra società riserva ai suoi privilegiati. (Poiché il progresso anarchico si nega da sé, è possibile gustare lo spettacolo di un prefetto di polizia che attraverso annunci cine- matografici invita i parigini proprietari di automobili ad usare i mezzi pub- blici). « Dato che, anche a proposito di simili piccolezze, si incontra l'idea di privi- legio, e che sappiamo con quale cieco furore tante persone - pur così poco privilegiate - sono disposte a difendere i loro mediocri vantaggi, è giocoforza constatare che tutti questi dettagli fanno parte di un'idea della felicità, idea consacrata nella borghesia, mantenuta da un sistema pubblicitario che in- globa tanto l'estetica di Mairaux che gli imperativi della Coca-cola, e della quale si tratta di provocare la crisi in ogni occasione, con ogni mezzo. I primi di questi mezzi sono senza dubbio la diffusione, a scopo di provo- cazione sistematica, di una gran quantità di proposte tendenti a fare della vita un gioco integrale appassionante, e il deprezzamento continuo di tutti i divertimenti correnti, naturalmente nella misura in cui non possono esse- re dirottati per servire a costruzioni di contesti più interessanti. E vero che la maggior difficoltà di una simile impresa consiste nel far passare in que- ste proposizioni apparentemente deliranti una sufficiente quantità di sedu- zione seria. Per ottenere questo risultato si può concepire una pratica abile dei mezzi di comunicazione attualmente in voga. Ma anche una sorta di astensione rumorosa, o delle manifestazioni miranti alla radicale delusione degli appassionati di questi stessi mezzi di comunicazione, mantengono indubbiamente, con poca spesa, un'atmosfera di imbarazzo estremamente favorevole all'introduzione di alcune nuove nozioni di piacere. Quest'idea che la realizzazione di una situazione affettiva scelta dipenda solamente dalla conoscenza rigorosa e dall'applicazione deliberata di un certo numero di meccanismi concreti, ispirava questo "Gioco psicogeografico della settimana" pubblicato, nondimeno con un po' di humour, nel numero 1 di Potlatch: "In funzione di quel che cercate, scegliete una regione, una città più o meno popolata, una strada più o meno animata. Costruite una casa. Am- mobiliatela. Decoratela al meglio dentro e fuori. Scegliete la stagione e l'ora. Riunite le persone più idonee, i dischi e i liquori adatti. L'illuminazio- ne e la conversazione dovranno evidentemente essere adeguate, come il clima o i ricordi. Se non ci sono stati errori, il risultato vi soddisferà." Occorre adoperarsi a gettare sul mercato, non foss'altro, per il momento, che il mercato intellettuale, una massa di desideri la cui ricchezza supererà, se non gli attuali mezzi d'azione dell'uomo sul mondo materiale, la vecchia organizzazione sociale. Dunque, non è privo d'interesse politico opporre pubblicamente simili desideri ai desideri primari che non dobbiamo stupir- ci di vedere rimestati incessantemente nell'industria cinematografica o nei romanzi psicologici, come quelli di quella vecchia carogna di Mauriac. ("In una società fondata sulla miseria, i prodotti più miserabili hanno la fatale prerogativa di servire all'uso della grande maggioranza", spiegava Marx al povero Proudhon). La trasformazione rivoluzionaria del mondo, di tutti gli aspetti del mondo, darà ragione a tutte le idee di abbondanza. Il brusco cambiamento d'atmosfera in una via, in soli pochi metri; la pa- tente divisione di una città in zone dal clima psichico nettamente delimita- to; la linea di più forte inclinazione - senza rapporto con cambiamenti di livello - che devono seguire le passeggiate prive di scopo; il carattere cattu- rante o respingente di certi luoghi: tutto ciò sembra essere trascurato. In ogni caso non lo si considera mai come qualcosa che dipende da cause che si possono mettere in chiaro con un'analisi appronfondita, e da cui si può trarre partito. Le persone sanno bene che vi sono quartieri tristi e altri pia- cevoli. Ma si persuadono generalmente che le strade eleganti causino un senso di soddisfazione e che le strade povere siano deprimenti, quasi senza altre sfumature. Di fatto, la varietà delle possibili combinazioni di atmosfere, analoga alla dissoluzione dei corpi chimici puri nel numero infinito delle mescolanze, porta con sé sentimenti così differenziati e così complessi come quelli che può suscitare qualsiasi altra forma di spettacolo. E la minima prospezione demistificata da apparire che nessuna distinzione, qualitativa o quantitativa, degli influssi esercitati dai diversi scenari edificati in una città può venir formulata in base a un'epoca o a uno stile architettonico, ancor meno a partire dalle condizioni di habitat. Le ricerche che si è così chiamati a compiere sulla disposizione degli ele- menti del quadro urbanistico, in stretto legame con le sensazioni che pro- vocano, non possono non passare attraverso ardite ipotesi che è opportuno correggere costantemente alla luce dell'esperienza, con la critica e l'autocritica. Certi quadri di De Chirico, che sono evidentemente provocati da sensazio- ni di origine architettonica, possono esercitare un'azione di ritorno sulla loro base oggettiva, fino a trasformarla: tendono a diventare essi stessi delle moquette. Inquietanti quartieri di arcate potrebbero continuare, un gior- no, e completare l'attrazione di quest'opera. Non ci sono, ai miei occhi, che quei due porti al calar del sole dipinti da Claude Lorrain, che si trovano al Louvre, che presentano la frontiera stessa tra due ambienti urbani i più diversi possibile, che possano rivaleggiare con la bellezza delle carte del metrò affisse a Parigi. Si comprenderà facil- mente che, parlando qui di bellezza, non considero la bellezza plastica - la nuova bellezza può essere soltanto una bellezza di situazione - ma solo Li presentazione particolarmente emozionante, in ambedue i casi, di una som- ma di possibilità. Fra vari mezzi d'intervento più difficili, una cartografia rinnovata sembra prestarsi all'utilizzo immediato. La fabbricazione di carte psicogeografiche, oppure anche vari trucchi come l'equazione, con qualche sia pur minimo fondamento o completamente arbitraria, posta tra due rappresentazioni topografiche, possono contribui- re a gettare su certi spostamenti una luce, non certo di gratuità, ma di perfetta insubordinazione alle sollecitazioni abituali. Le sollecitazioni di questa serie sono catalogate sotto il termine di turismo, droga popolare altrettanto ripugnante dello sport o dell'acquisto a credito. Un amico, recentemente, mi diceva di aver da poco percorso la regione dello Hartz, in Germania, con l'aiuto di una mappa della città di Londra, e cui aveva seguito ciecamente le indicazioni. Questa specie di gioco è evi- dentemente solo un mediocre inizio rispetto a una costruzione completa dell'architettura e dell'urbanismo, costruzione il cui potere sarà un giorno dato a tutti. Nell'attesa, si possono distinguere vari stadi di realizzazioni parziali, meno malagevoli, a cominciare dal semplice spostamento degli elementi decorativi che siamo assuefatti a trovare in posizioni previamente predisposte. Così Marièn, nel numero precedente di questa rivista, proponeva di am- mucchiare alla rinfusa, quando le risorse mondiali avranno cessato di esse- re sprecate nelle irrazionali imprese che ci vengono imposte oggi, tutte le statue equestri di tutte le città in una sola pianura desertica. Il che offrireb- be ai passanti - l'avvenire appartiene loro - lo spettacolo di una carica sin- tetica di cavalleria, che potrebbe finanche venir dedicato a ricordare i più grandi massacratori della storia, da Tamerlano a Ridgway. Vediamo qui riemergere una delle principali esigenze di questa generazione: il valore educativo. Di fatto, ci si può aspettare qualcosa solo dalla presa di coscienza - da parte di masse che agiscano - delle condizioni di vita che in ogni campo vengono loro imposte, e dei mezzi pratici di cambiarle. "L'immaginario è ciò che tende a diventare reale", ha potuto scrivere un autore del quale, data la sua notoria mancanza di consequenzialità sul pia- no dello spirito, ho dimenticato in seguito il nome. Una tale affermazione, per ciò che ha di involontariamente restrittivo, può servire da pietra di paragone e fare giustizia di alcune parodie di rivoluzione letteraria: ciò che tende a restare irreale, è la chiacchiera. La vita, di cui siamo responsabili, incontra, contemporaneamente a grandi motivi di scoraggiamento, un'infinità di diversivi e di compensazioni più o meno volgari. Non passa anno che persone da noi amate non cedano, per non aver chiaramente compreso le possibilità presenti, a qualche vistosa capitolazione. Ma essi non rafforzano il campo nemico, che annoverava già imbecilli a milioni, e nel quale si è obiettivamente condannati ad essere imbecilli. La prima deficienza morale resta l'indulgenza, sotto tutte le sue forme.
Guy-Ernest Debord Les Lèvres nues, n. 6, Bruxelles, settembre 1955
TEORIA DELLA DERIVA
Fra i diversi procedimenti situazionisti, la deriva si presenta come una tec- nica del passaggio veloce attraverso svariati ambienti. Il concetto di deriva è indissolubilmente legato al riconoscere effetti di natura psicogeografica ed all'affermazione di un comportamento ludico-costruttivo, ciò che da tutti i punti di vista lo oppone alle nozioni classiche di viaggio e di passeg- giata. Una o più persone che si lasciano andare alla deriva rinunciano, per una durata di tempo più o meno lunga, alle ragioni di spostarsi e di agire che sono loro generalmente abituali, concernenti le relazioni, i lavori e gli sva- ghi che sono loro propri, per lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e degli incontri che vi corrispondono. La parte di alcatorietà è qui meno determinante di quanto si creda: dal punto di vista della deriva, esiste un rilievo psicogeografico delle città, con delle correnti costanti, dei punti fissi e dei vortici che rendono molto disagevoli l'accesso o la fuoriuscita da certe zone. Ma la deriva, nella sua unità, comprende nello stesso tempo questo la- sciarsi andare e la sua contraddizione necessaria: il dominio delle variazio- ni psicogeografiche attraverso la conoscenza ed il calcolo delle loro possi- bilità. Sotto quest'ultimo aspetto, i dati messi in risalto dall'ecologia, per quanto sia limitato a priori lo spazio sociale che questa scienza si propone di studiare, non cessano di sostenere utilmente il pensiero psicogeografico. L'analisi ecologica del carattere relativo o assoluto delle scissure del tessu- to urbano, del ruolo dei microclimi, delle unità elementari interamente di- stinte dai quartieri amministrativi e soprattutto dall'azione dominante di centri d'attrazione, deve venire utilizzata e completata con il metodo psicogeografico. Il terreno passionale oggettivo in cui si muove la deriva deve venir definito contemporaneamente sia secondo il suo proprio determinismo, sia secondo i suoi rapporti con la morfologia sociale. Chombart de Lauwe, nel suo studio su Paris et l'agglomération parisienne (Bibliothèque de Sociologie Con-temporaine, PUF, Paris 1952), nota come "un quartiere urbano non è determinato soltanto dai fattori geografici ed eco- nomici, ma anche dalla rappresentazione che ne hanno i suoi abitanti e quelli degli altri quartieri" e presenta nella stessa opera - per mostrare "l'an- gustia della Parigi reale, nella quale ciascun individuo vive... geografica- mente un quadro il cui raggio è estremamente piccolo" - il tracciato di tutti i percorsi effettuati in un anno da una studentessa del XVI arrondissement. questi percorsi disegnano un triangolo di dimensioni ridotte, senza fuoriu- scite, i cui tré vertici sono la Scuola di scienze politiche, il domicilio della ragazza e quello del suo professore di pianoforte. Non vi è dubbio che tali schemi, esempi di una poesia moderna suscetti- bile di comportare vivaci reazioni affettive - in questo caso l'indignazione per il fatto che sia possibile vivere in questo modo - o anche la teoria, avanzata da Burgess, a proposito di Chicago, sulla ripartizione delle attivi- tà sociali in zone concentriche definite, debbano servire al progresso della deriva. Nella deriva, il caso gioca un ruolo tanto più importante quanto più l'os- servazione psicogeografica è ancora incerta. Ma l'azione del caso è natu- ralmente conservatrice e tende, all'interno di un nuovo quadro, a ricondur- re tutto all'alternanza di un numero limitato di varianti, ed all'abitudine. Poiché il progresso non è mai altro che la rottura di uno dei campi in cui si esercita il caso, con la creazione di condizioni nuove e più favorevoli ai nostri progetti, possiamo dire che se gli imprevisti della deriva sono fonda- mentalmente diversi da quelli della passeggiata, tuttavia le prime attrazio- ni psicogeografiche scoperte rischiano di fissare il soggetto, o il gruppo, alla deriva attorno a nuovi assi abituali cui tutto li riconduce costante- mente. Un'insufficiente diffidenza rispetto al caso, ed al suo impiego ideologico sempre reazionario, condannava ad un penoso fallimento la famosa deam- bulazione senza scopo tentata nel 1923 da quattro surrealisti a partire da una città scelta a caso: l'erranza in aperta campagna è evidentemente de- primente e gli interventi del caso vi sono più poveri che mai. Ma la scon- sideratezza viene spinta ben oltre in Medium (maggio 1954) da un tal Pierre Vendryes che crede di poter avvicinare quell'aneddoto - dato che tutto ciò farebbe parte di un'identica liberazione antideterministica - ad alcuni espe- rimenti sulla probabilità, per esempio sulla ripartizione aleatoria di alcuni girini in un sfera di cristallo, intorno a cui esprime il suo profondo pensiero precisando: "bisogna, beninteso, che tale massa non subisca dall'esterno alcuna influenza direttrice". In simili condizioni, nei fatti il successo ha arriso ai girini, che hanno il vantaggio di essere "sprovvisti assolutamente di intelligenza, socialità e sessualità" e, di conseguenza, "veramente indi- pendenti gli uni dagli altri". Agli antipodi rispetto a queste aberrazioni, il carattere fondamentalmen- te urbano della deriva, a contatto con quei centri di possibilità e di signifi- cati che sono le grandi città trasformate dall'industria, corrisponderebbe piuttosto alla frase di Marx: "Gli uomini non possono vedere nulla intorno a sé che non sia il loro proprio viso: tutto parla loro di loro stessi. Anche il loro paesaggio ha un'anima." Ci si può lasciar andare alla deriva da soli, ma tutto mostra che la suddi- visione numerica più fruttuosa consiste nella formazione di parecchi pic- coli gruppi di due o tré persone giunte ad una stessa presa di coscienza, poiché il confronto tra le impressioni di questi differenti gruppi deve con- sentire di arrivare a delle conclusioni oggettive. E' auspicabile che la com- posizione di questi gruppi cambi da una deriva all'altra. Superando il nu- mero di quattro o cinque partecipanti, il carattere proprio della deriva de- cresce rapidamente ed in ogni caso non è possibile superare la decina di persone senza che la deriva si frammenti in più derive condotte simultane- amente. D'altronde la pratica di quest'ultimo movimento è di grande inte- resse, ma le difficoltà che esso comporta non hanno mai sinora consentito di organizzarlo con l'ampiezza auspicabile. La durata media di una deriva è di una giornata, considerata come l'inter- vallo di tempo compreso tra due periodi di sonno. I punti di partenza e di arrivo, nel tempo, in rapporto al giorno solare sono indifferenti, tuttavia bisogna notare che in genere le ultime ore della notte sono poco adatte alla deriva. Questa durata media della deriva possiede solo un valore statistico. An- zitutto, si presenta abbastanza raramente in tutta la sua purezza, perché difficilmente gli interessati evitano, al principio o alla fine di questa giorna- ta, di sottrarvi una o due ore per dedicarle ad occupazioni banali; alla fine della giornata, la stanchezza contribuisce molto a questa forma di abban- dono. Ma, soprattutto, la deriva si svolge spesso in alcune "ore fissate deliberatamente o durante momenti abbastanza brevi, o, al contrario, du- rante parecchi giorni senza interruzione. Nonostante le pause imposte dal- la necessità di dormire, alcune derive, di sufficiente intensità, si sono pro- lungate per tré o quattro giorni ed anche più. E vero che, nel caso di una successione di derive per un periodo abbastanza lungo, è quasi impossibile stabilire con precisione il momento in cui lo stato d'animo proprio di una deriva lascia il posto ad un altro stato d'animo. Una successione di derive è stata prolungata, senza" interruzioni significative, sino a "circa due mesi, ciò che non può non portare a nuove condizioni oggettive di comporta- mento che inducono la scomparsa di un buon numero di quelle precedenti. L'influenza sulla deriva delle variazioni climatiche, benché reale, non è determinante se non nel caso di piogge prolungate, che la impediscono quasi del tutto. Ma i temporali o altri generi di precipitazioni le sono piut- tosto propizie. Il campo spaziale della deriva è più o meno definito o vago a seconda che questa attività miri piuttosto allo studio di un terreno o a risultati affettivi spaesanti. Non bisogna sottovalutare il fatto che questi due aspetti della deriva presentano molteplici interferenze e che è impossibile isolare uno dei due allo stato puro. Ma l'uso del taxi può, per esempio, fornire una linea di demarcazione abbastanza chiara: se nel corso di una deriva si prende un taxi, sia per una destinazione precisa, sia per spostarsi di venti minuti in dirczione ovest, è perché si è interessati soprattutto allo spaesamento per- sonale. Se ci si attiene all'esplorazione diretta di un terreno, vuoi dire che si privilegia la ricerca di un urbanismo psicogeografìco. In tutti i casi, il campo spaziale è anzitutto funzione delle basi di parten- za che sono costituite, per i soggetti isolati, dal loro domicilio e, per i grup- pi, dai punti di riunione prescelti. L'estensione massima di questo campo spaziale non supera l'insieme di una grande città e delle sue periferie. .La sua estensione minima può essere limitata ad una piccola unità ambienta- le: un solo quartiere o, se ne vale la pena, anche un solo isolato (al limite estremo, la deriva statica di una giornata senza uscire dalla stazione di Saint-Lazare). L'esplorazione di un campo spaziale prefissato presuppone, dunque, l'aver stabilito delle basi e l'aver calcolato le direzioni di penetrazione. E qui che interviene lo studio delle mappe, siano esse normali o ecologiche o psicogeografiche, la loro rettifica ed il loro miglioramento. C'è bisogno di dire che il piacere per un quartiere sconosciuto in quanto tale, mai percor- so, non interviene affatto? Oltre alla sua insignifìcanza, questo aspetto del problema è del tutto soggettivo e non sussiste a lungo. Questo criterio non è mai stato adoperato se non, occasionalmente, quando si trattava di tro- vare le uscite psicogeografiche da una zona evitando sistematicamente tutti i punti abituali. E possibile allora perdersi in quartieri già lungamente per- corsi. Al contrario, la parte dell'esplorazione appare minima, in rapporto a quella del comportamento spaesante, nell"'appuntamento possibile". Il soggetto viene pregato di recarsi da solo ad una certa ora in un certo luogo che gli viene fissato. E slegato dai penosi obblighi di un appuntamento normale, perché non ha nessuno da aspettare. Tuttavia, poiché questo "appunta- mento possibile", lo ha condotto inaspettatamente in un luogo che può conoscere o meno, ne osserva i dintorni. Contemporaneamente, potrebbe esser stato dato un altro "appuntamento possibile", nello stesso luogo, a qualcuno di cui egli non può prevedere l'identità. Può anche non averlo mai visto, fatto che induce ad attaccare discorso con diversi passanti. Può non trovare nessuno o anche, per caso, incontrare chi ha fissato l'"appuntamento possibile". In ogni caso, e soprattutto se il luogo e l'ora sono stati ben scelti, l'uso del tempo del soggetto prenderà una piega im- prevista. Può persino chiedere per telefono un altro "appuntamento possi- bile" a qualcuno che ignori dove il primo appuntamento l'abbia condotto. Appaiono evidenti le risorse quasi infinite di questo passatempo. Così, certi scherzi considerati di dubbio gusto, che io ho sempre molto apprezzato nel mio ambiente, come, ad esempio, introdursi nottetempo nei piani delle case in demolizione o percorrere Parigi in autostop durante uno sciopero dei mezzi pubblici senza fermarsi, con il pretesto di aggrava- re la confusione facendosi trasportare in un luogo qualsiasi, o errare nei sotterranei delle catacombe proibiti al pubblico, discenderebbe da un sen- so più generale che altro non è se non il senso della deriva. Gli insegnamenti della deriva consentono di stabilire i primi rilevamenti delle articolazioni psicogeografiche di una città moderna. Al di là del rico- noscimento di unità ambientali, delle loro componenti principali e della loro localizzazione spaziale, si percepiscono i loro assi principali di passag- gio, le loro vie d' uscita e le loro linee di difesa. Si perviene cosi all'ipotesi centrale circa l'esistenza di rotonde psicogeografiche. Si misurano le di- stanze che separano effettivamente due regioni di una città e che sono incommensurabili rispetto a quello che poteva far credere una lettura ap- prossimativa di una pianta della città. Con l'aiuto di vecchie mappe, di vedute fotografiche aeree e di derive sperimentali, si può costruire una cartografia degli influssi che sino ad oggi è mancata e la cui attuale incer- tezza, inevitabile fino a quando non verrà portata a termine una mole im- mensa di lavoro, non è peggiore di quella dei primi portolani, con questa differenza: che qui non si tratta più di delimitare con esattezza dei conti- nenti stabili, ma di cambiare l'architettura e l'urbanistica. Le diverse unità di atmosfera e di abitazione, oggi, non sono ritagliate nettamente, ma si presentano circondate da bande di confine più o meno estese. Il cambiamento più generale che la deriva porta a proporre è la diminuzione costante di queste bande di confine, sino alla loro completa soppressione. Nell'architettura stessa, il gusto della deriva induce a preconizzare ogni sorta di nuove forme di labirinto, favorite dalle moderne possibilità di co- struzione. Così, nel marzo 1955, la stampa segnalava la costruzione a New York di un palazzo dove si potevano vedere i primi segni di una possibilità di deriva all'interno di un appartamento: "Gli alloggi della casa elicoidale avranno la forma di una fetta di torta. Potranno venire ingranditi o diminuiti a volontà attraverso lo spostamento di pareti mobili. La suddivisione in semipiani evita di limitare il numero di stanze poiché l'affittuario può chiedere di poter utilizzare la fetta seguente immediatamente sopra o sotto quella che già abita. Questo sistema per- mette di trasformare in sei ore tré appartamenti di quattro stanze in un appartamento di dodici stanze o più." Il sentimento della deriva è naturalmente connesso con una più generale maniera di prender la vita, che nondimeno sarebbe maldestro dedurre mec- canicamente. Non mi dilungherò sui precursori della deriva, che si posso- no riconoscere a buon diritto o estrapolare abusivamente, nella letteratura del passato, nè sugli aspetti passionali particolari che questa attività com- porta. Le difficoltà della deriva sono quelle della libertà. Tutto induce a credere che l'avvenire precipiterà il cambiamento irreversibile del compor- tamento e dello scenario della società attuale. Un giorno si costruiranno delle città per praticarvi la deriva. Si possono utilizzare, con dei ritocchi relativamente leggeri, certe zone che esistono già. Si possono utilizzare certe persone che esistono già.
G.Ernest Debord Les Lèvres nues, n. 9, novembre 1956