martedì 20 gennaio 2015

memory















vito e gli altri che come era bello il muro di via diocleziano tutto attorno alla fabbrica, un muro infinito senza interruzioni fino a coroglio che dico fino coroglio, fino a cavalleggeri, e sopra i disegni i graffiti i murales che parevano una striscia di fumetto lunghissima, un libro illustrato che ogni metro giravi una pagina ma sempre un muro era che si rompeva si sbiadiva e mano mano che i disegni invecchiavano ti ricordava che dietro quel lungo treno di mura ci stava quel mostro di ferro intoccabile, inamovibile, inavvicinabile.

vito e gli altri che ogni tanto si andava all’edenlandia quando uscivano quelle diecimilalire per poterci andare, e la graffa dell’edenlandia come era buona che così buona non l’ho mai più trovata da nessuna parte, e il treno con la cappotta che poi ci si doveva baciare ma non c’era mai nessuno seduto accanto a quella giusta, e quel gioco divertente diventava un giro di urla di sfogo divertimento e di prime malinconie.
e le montagne russe che poi le hanno tolte, i tronchi, i castello e il galeone con i soffitti bassi e gli specchi deformanti, e il giro del drago che dovevi toccare quel pallone con la mano e chi ci è mai arrivato a toccarlo e quanti anni avremmo dovuto avere per riuscire a toccarlo
e non abbiamo fatto in tempo a diventare alti per toccarlo che pure l’edenlandia mo non ci sta più, e non c’è più la graffa lo sfogo, l’edenlandia che poi alla fine col braccialetto ci volevano quindiciventimilalire che mica ci potevi andare più tanto spesso

vito e gli altri a via cocchia fra i palazzi senza intonaco, e come mi piacevano quei palazzi di via cocchia senza intonaco parevano palazzi tedeschi, l’autunno spoglio del nord, invece era solo via cocchia senza mattoncini e senza intonaco che finisce dritta dritta dentro la fabbrica e per questo è un vicolo cieco. e quante volte ci sarei voluto salire sui tetti dei palazzi di via cocchia, e che panorama si doveva vedere da quei balconi, e la notte quel buio ferroso di via cocchia, della fabbrica enorme abbandonata. e come facevi a non portartelo dentro il vuoto di via cocchia.

vito e gli altri in giro con il see, il si, ‘o si, che pareva che andavi a cento all’ora e che a pensarci oggi a spingerlo al massimo faceva la metà di un motorino modificato, il si che costava poco e che mo lo usano solo i ragazzi dei negozi, il si che mo lo tengono solo i poveri immigrati che come noi se poi rimani a piedi rimangono sempre i pedali, il si che pareva che chi sa dove andavi e alla fine sempre là stavi, il si che si regalava pure a dieci anni, ma basta che non esci dal quartiere, che giri intorno a vuoto, come fanno tutti

vito e gli altri a finire metal gear solid alle macchinette, coi gettoni, e quante monetine delle zie delle nonne si consumavano in quelle macchinette, che una volta mio cugino lo ha finito tutto quanto il gioco con un solo gettone, che è riuscito a non morire mai.

vito e gli altri che nisida è solo una cosa che si può vedere da fuori, o se fai un guaio, certo.
nisida che attaccata da una strada che pare un filo che è un muro, nisida che ti fai il bagno a scavalcare il muro e gli scogli a sinistra e pensi di stare a posillipo ma è nisida lato sinistro, nisida che se ti fermi a guardare prima di tuffarti al lato destro vedi la fabbrica e vedi le onde grigie e non ti tuffi più, nisida che fa troppo caldo per non tuffarsi anche se è il lato destro
nisida che l’acqua sporca non conosce mura

vito e gli altri a cavalleggeri, cavalleggeri quartiere di vecchi e caserme abbandonate, cavalleggeri bagnoli senza il mare, cavalleggeri lo scippo facile al mercatino, fuori alla posta la pensione
vito e gli altri quando ti acchiappano, l’istituto, i giudici che tanto dieci quindici diciotto anni sono la stessa cosa

vito e gli altri che poi ti abitui a tutto

vito e gli altri che poi che fa, che poi alla fine se muori, muori, tanto a te che te ne fotte più