mercoledì 21 aprile 2010

malandrini

Roma, primi anni Settanta: un uomo solo dentro una piazza deserta. E intorno un ronzio di voci, un crepiti' o di slogan... Quell' uomo, con lo sguardo celato dietro un paio d' occhiali scuri, e' Pier Paolo Pasolini: ha le spalle poggiate contro un muro e le braccia annodate sul petto. Se ne sta li' , in silenzio, mentre il ronzio diventa tuono e il fiume di ragazzi comincia a tracimare nella piazza, fino a sommergerla. Ci sono immagini che il tempo non consuma. Erri De Luca, Pasolini lo rammenta cosi' . "Lo incontrai quella volta e mai piu' . Era una manifestazione organizzata da Lotta Continua ed io stavo nelle prime file del corteo, quelle che servivano a scoraggiare le confidenze del nemico . racconta .. Nella piazza destinata al comizio finale non si scorgeva anima viva: c' era soltanto quell' uomo fermo in un angolo. All' epoca, non eravamo teneri col vicinato: avremmo scacciato con la forza chiunque altro, ma non Pasolini. Ci colpiva il suo coraggio fisico: venire ad osservarci e a giudicarci li' dove nessun altro estraneo avrebbe mai messo piede... E poi chissa' , forse gia' allora ci inseguiva, come un' ombra, il dubbio che avesse ragione su di noi". "Pasolini strinse con Napoli un legame fisico violento, quasi marchettaro. E non poteva essere altrimenti per uno che conosceva il prezzo dei corpi in ogni angolo del mondo. Per lui anche l' imbroglio era "scambio di sapere", al punto che perfino un tentativo di borseggio, subi' to durante un' effusione, si trasformava in occasione per rinsaldare un affetto. Qui non sarebbe mai stato ucciso in una strada abbandonata: poteva accadere soltanto a Roma. Quel che non immaginava, pero' , e' che anche questa citta' , dopo il terremoto, l' avrebbe tradito. La morte gli ha risparmiato almeno una delusione". . E' in "Gennariello" che Pasolini descrive Napoli come "l' ultima metropoli plebea, l' ultimo grande villaggio". Si tratta dell' ennesimo stereotipo modellato sull' idea di una citta' immune dal contagio della storia? "Napoli sfugge ai predicati assoluti, alle definizioni che mirano ad ingabbiarla. Chi prova a colpire il centro, manca il bersaglio. E' capitato anche a Pasolini. Lui, pero' , aveva una botola segreta che, in genere, gli intellettuali non posseggono: conosceva il corpo. E questa, forse, rimane l' unica citta' dove la fisiognomica sopravvive all' erosione dei lineamenti. Qui le persone hanno ancora una faccia. Ecco, credo che Pasolini amasse soprattutto quest' aspetto di Napoli: basterebbe ricordare la lunga galleria di volti che scandisce il "Decameron", la maschera di Toto' in "Uccellacci e Uccellini". . Anche di "Gennariello", lo scrittore disegna in primo luogo i tratti del viso, la sagoma del corpo "stretto di fianchi e solido di gamba". Il ritratto, insomma, di uno scugnizzo da oleografia. "Certo, ma tutto il rapporto fra Pasolini e Gennariello sa di falso. Se ti metti dalla parte del quindicenne, non capisci una parola di quel che ti viene detto. Quel personaggio e' un pretesto, al punto che perfino il suo nome e' sbagliato: il diminutivo di Gennaro, in dialetto, e' Gennarino o Gennariniello. Lui invece se ne inventa un altro e modella il suo interlocutore plasmando la creta di un desiderio personale. Queste pagine segnano il culmine di una tensione che mira a correggere il mondo, ma rappresentano pure il fallimento di tale ambizione". . Di luterano, allora, c' e' poco in queste lettere? "Direi quasi nulla. Non c' e' la rifondazione di un nuovo cristianesimo e di una nuova lingua. E poi Lutero costruiva con i mattoni che aveva, mica se li inventava. Ci sono brani, pero' , che ancora oggi ti prendono alla gola. Come quello che parla dei "destinati a essere morti", vite salvate dal progresso della medicina. Pasolini constata che le nascite non sono piu' una benedizione in un mondo dominato dalla crescita demografica. Il suo e' un atto di accusa contro una quota della gioventu' che alla sua eccedenza numerica fa corrispondere un comportamento conformista. E' un' invettiva totale, biologicamente fondata. E sara' poi uno di quei "destinati ad essere morti" che gliela fara' pagare. Anch' io ho fatto parte di questa quota eccedente e adesso che sono vecchio mi rigiro fra i denti quelle parole senza sapere se avesse torto o ragione". . Riaffiora l' ombra del dubbio? "La verita' e' che si tratta di un autore troppo vario per le mie forze: merita piu' cuore e intelligenza di quanto io gli possa prestare. Mi e' caro soprattutto come poeta, perche' sentiva l' obbligo di governare in modo piu' sereno le sue risorse. C' e' una poesia, "Gerarchia", che amo molto. Venne pubblicata nel ' 70 su "Nuovi Argomenti", in un numero dove comparivano anche i miei primi scritti. Un verso dice: "Accuso i vecchi di avere fatto la volonta' della vita". Pasolini non voleva che Gennariello finisse come quei vecchi. Ma Gennariello non esisteva, non esiste. Ed e' per questo che quell' accusa si vena della pieta' carnale di una madre". . Sono trascorsi vent' anni da quell' incontro in una piazza deserta: chi aveva ragione? "Non lo so. Noi abbiamo dimostrato di essere peggio di quel che sembrava a Pasolini. Ma eravamo pure l' unica possibilita' e lui non voleva concedercelo. Oggi sento la sua mancanza, come tutti quelli che hanno imparato qualcosa prendendosela con lui o prendendosela da lui. Ma avverto soprattutto la sua presenza e l' onore che ci ha fatto ad essere nostro contemporaneo. Uno come lui non c' era prima e non c' e' stato dopo. Avremmo dovuto fare qualcosa in piu' per meritarci la sua vita".