sabato 20 marzo 2010

la sera non cantavi mai

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Rompevo i giocattoli. Al momento di riceverli guardavo con sospetto quegli oggetti che dovevano appartenermi. Non dava certo piacere a voi essere ricambiati dalla mia diffidenza iniziale anziché dalla gioia. L’emozione di averli mi preoccupava più che eccitarmi. Mi assicuravo dei miei diritti chiedendo: è mio? Sì, lo era, ma non aveva il senso che intendevo io, perché era collegato alle solite necessità e veniva dopo il non fare chiasso, il non sporcarsi e negli orari stabiliti. Era un mio a povere dosi, un mio da bambini, mentre invece il giocattolo mi faceva desiderare un’immensa libertà in cui lo spazio per giocare e il tempo che avrei trascorso così, erano pure quelli miei, senza confini. È mio?, chiedevo. “Sì, ma non lo rompere.” Un Natale non me ne fu comprato nessuno, perché avevo continuato a romperli tutti, quelli dell’anno prima. Vi eravate dispiaciuti e me l’avevate detto che quell’anno non me ne avreste comprati. Tu mi rimproveravi lo spreco commesso di fronte a tanti bambini che non ne avevano nessuno. Oggi ripenso anche ai sacrifici che facevate per consentirvi quelle spese, anche se non parlavate di problemi di soldi. Più tardi, e molto, capii i vostri conti striminziti che spremevate per ricavare di che imbastire un Natale. Ma da bambino non capivo quello che dicevate. Il giocattolo era mio in un modo che non sapevo dimostrare. Aveva una sua durata nella quale l’avrei conosciuto, maneggiato, lasciato. Poi finiva. Avrei dovuto riporlo in qualche posto, poi forse l’avresti regalato a qualche altro bambino come facevi con quelli della sorellina. Avrei dovuto fare così, ma mi restava invece una parte enorme della sua durata che consisteva nell’attimo della sua fine. Le cose hanno un momento in cui sono improvvisamente diverse. Un legno appena spaccato, una pietra staccata da un suo posto forse millenario: per un momento solo hanno un volto segreto conosciuto solo da chi è testimone dell’improvviso cambiamento. Per un solo momento sono così, perché dopo un secondo sono diventati vecchi di cento anni. Accadde così anche all’universo, dicono, che è invecchiato nei primi secondi della sua formazione più che nei miliardi di anni successivi. La morte non è uguale per tutte le cose: ci sono oggetti che cominciano a invecchiare solo dopo aver attraversato la morte. Un giocattolo invecchia dopo che si è rotto, dopo che è morto.
Le cose hanno un volto segreto che un bambino può scrutare. Rompevo il giocattolo: non per la insignificante curiosità di vedere cosa ci fosse dentro, come fosse fatto, ma per vedere l’attimo in cui era di colpo disfatto, prima di perdersi nell’indistinto dei suoi pezzi. Dura poco il gioco. Sapevo che durava quanto l’attimo in cui si sarebbe rotto, o che quell’attimo valeva tutta la sua durata precedente. Solo allora il gioco era di chi l’aveva avuto in mano, solo allora era mio del tutto. Solo in morte la vita è interamente di chi l’ha vissuta, e il possesso è senza donatori, senza rimproveri.
Ti parlo, mamma, che sei così giovane rispetto a me per una sera, di quest’antico tuo regalo del quale mi sembra di poter completare il possesso proprio ora. È mia la vita che mi desti? Stasera sì, è mia del tutto.
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da "Non ora non qui" - Erri de Luca - 1989